Ministri: la rabbia è nulla, senza consapevolezza

Abbiamo intervistato la rock band all'uscita della loro ottava fatica "ministrica", "Aurora popolare. Un disco corale, dove c'è parecchia incazzatura per come stanno le cose, ma che vuole trasformare questa insoddisfazione in un motore per guardare avanti. Sempre a modo proprio

Foto di Chiara Mirelli
Foto di Chiara Mirelli

L'ottavo disco dei Ministri, Aurora Popolare, è uscito il 19 settembre. In sole 10 tracce la band milanese dà voce alle inquietudini generazionali e fotografa un momento non semplice del mondo: guerra, precarietà, rabbia, frustrazione, impotenza, voglia di cambiare sono elementi portanti di un disco che non è di per sé politico ma dove la politica è presente.

È un bel disco, dove la traccia finale Cattivi i Buoni sa di incredibile: una ballad in La maggiore però struggente e determinata. È la chiusura che ogni disco degno di nota dovrebbe avere e che merita di finire in diverse playlist. Come i tre ci hanno abituato, le ballad si mescolano a brani più energici e classicamente rock. La formula magica iniziata ai tempi di I soldi sono finiti si rinnova, si interroga, cambia senza perdere le radici che da quasi 20 anni li tengono sui palchi di tutta Italia, e non solo.

Abbiamo intervistato il terzetto a poche ore dall'uscita del disco.

Chiudete con una canzone che parla di buoni e cattivi, una canzone molto complessa con uno spirito rabbioso però dall'arrangiamento che sembrerebbe andare in una maniera opposta.

C'è stata questa volontà di tenere quel pezzo così acre tenendolo senza stare in un classico “arrangiamento ministrico”. Mi ricordo che quando quel pezzo è entrato in scena ci siamo accorti che se avesse avuto la batteria nostra avrebbe avuto forse un'epicità stonante o forse avrebbe trasmesso un'eccessiva rabbia con il rischio di sembrare un po' retorica. Bastavano proprio le parole. I Ministri hanno questa cosa qui da sempre: ci piace fare musica, non ci identifichiamo solamente nell'essere una band rock. Siamo una band che ha scelto quello stilema musicale tanto tempo fa, ma poi di fatto c'è una grandissima dose di cantautorato, c'è una grandissima voglia di arrangiare i brani, di dargli comunque il vestito giusto, perché è il nostro lavoro, perché comunque è sapere comunicare delle cose importanti nella maniera più immediata ma anche artisticamente più valida possibile. Alla fine giochiamo sul forte contrasto: c'è un testo che è una lamata e sotto un arrangiamento diverso dal solito. Ci è sembrato anche un modo intelligente di fare per metterci alla prova.

Il disco ha un suono uniforme. È semplice da ascoltare, tanto che quasi non sembra ci sia una cura nell'arrangiamento. Ma se poi lo senti bene con attenzione pare che ogni singola canzone sia a parte, potrebbe essere un singolo. Ho detto una cazzata?

Una buona canzone funziona perché arriva facilmente e sembra semplice. Ci sono opere anche nella classica che sono arzigogolatissime ma all'orecchio arrivano dirette e chiare. Questa cosa succede quando un brano è fatto bene, quando è proprio pensato bene. Nel nostro caso l'approccio è stato: “noi sappiamo far questo, facciamolo bene”. È anche una delle regole di ingaggio che ci portiamo dietro, ovvero cercare di fare dei brani musicali con arrangiamenti che funzionino in 3, cioè che possiamo suonarli in 3, che non abbiamo bisogno di altre sovrastrutture. Per arrivare al risultato devi tirarti le testate finché non trovi la soluzione. È il grande lavoro che facciamo nonostante magari a volte avresti in testa che in quel punto ci starebbero bene gli archi o che vorresti, come i Beatles inLet It Be, che arrivi il quinto a suonare quello strumento lì in più perché ci sta bene. La grande fatica che è stato arrangiare questo disco è far sembrare semplici le cose un po' più complesse.

È sempre stato così?

Noi siamo nati in un periodo in cui suonare con “delle sequenze” o “delle basi” sul palco era impossibile. Pensa nel 2010: sarebbe stato uno sbattimento tecnico pazzesco, non come oggi. Non potevamo prendere in considerazione questa opzione e così da sempre abbiamo dovuto trovare un modo per far funzionare i brani per come potevamo portarli dal vivo. Probabilmente emerge anche una sorta di nostro luddismo. Alla fine noi abbiamo un certo background, una certa storia, mentre oggi il pubblico vuole sentire dal vivo i brani come li ha conosciuti su disco. Il live diventa uno specchio della produzione discografica: se il pezzo è così io quando lo sento dal vivo voglio che suoni così. Lo pretendo perché sono io il consumatore. Questo è il grande cambio dell'oggi, dove la musica è un bene di consumo e chi l'ascolta è un consumatore. Questa roba è una regola a cui noi non ci adegueremo mai e poi mai. Al massimo noi possiamo fare che i dischi che scriviamo siano fatti in modo che sia molto facile farli suonare dal vivo.

È un disco corale, collettivo, partecipativo. Ma ci sarà anche qualcosa singolarmente di ognuno di voi?

Sì, come spesso è stato per noi. Tutti i testi li ha scritti Fede, ma sono nati a seguito di conversazioni quotidiane tra tutti e tre. È un disco corale perché ci succedono delle cose, succedono cose nel mondo e così ne parliamo e da lì nascono i nostri testi. Non è sempre stato così in tutti i nostri dischi, a volte per semplici urgenze biografiche quando qualcuno di noi aveva bisogno di dire quella cosa lì. Quindi a volte c'era più qualcosa di uno di noi anche se poi il tutto entrava nel “contenitore Ministri”. In questo caso è stato effettivamente un lavoro di sintesi tra le nostre sensibilità. Possiamo dire che abbiamo provato a sperimentare un modo di lavorare anche nuovo, un modo che ci permettesse di incastrarci e lavorare assieme. Ognuno di noi ha lavorato sul suo strumento, sulle sue idee di arrangiamento partendo dal proprio strumento e poi mettendole in comune e discutendone. Non è il fatto di prendere un po' dell'uno e dell'altro e poi metterci questo e poi quello, e alla fine diventa una bolgia. No. Un senso critico di ognuno rispetto alle cose attorno. La sostanza, il grosso, è che è stato un lavoro a tre.

Chiudiamo così: datemi tre aggettivi per definire il disco.

È un disco consapevole che arriva alla fine di un processo di scrittura ma anche personale di nuove consapevolezze, un qualcosa che capita spesso nei percorsi artistici. Così stanno insieme la rabbia, le urgenze comunicative e più dirette anche con altro.
È un disco denso, poi. Abbiamo parlato di tutto quello che volevamo in sole 10 canzoni. Una novità per noi.
E poi è un disco corale, anche se di un piccolo coro, di tre persone. L'abbiamo lavorato coralmente sia nei testi, sia nell'espressione di valori che di arrangiamenti musicali. Un piccolo coro che non è tenuto assieme solo dalla rabbia, anche perché è brutto se a tenerti assieme è solo la rabbia. La rabbia è importante ma non può essere l'unico valore che ti tiene assieme: a noi infatti non ci tiene assieme la rabbia.

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L'articolo Ministri: la rabbia è nulla, senza consapevolezza di Andrea Cegna è apparso su Rockit.it il 2025-09-19 02:13:00

Tag: album

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