Tempelhof - Music for airports

L'Ep su Hell Yeah! è bomba. Era d'obbligo un'intervista

Original pic by Giulia Grizzini / art by Andrea Amaducci
Original pic by Giulia Grizzini / art by Andrea Amaducci - Tempelhof

Luciano Ermondi e Paolo Mazzacani sono appena usciti con un Ep su Hell Yeah!, etichetta che si è configurata negli ultimi anni come assoluto riferimento per una scena elettroacustica freefrom. I Tempelhof dopo un album vicino all'ambient (bello, ma relegato nei limiti del genere) ci hanno stupito con quattro canzoni che aggiungono kraut rock, dub, wonky, acid, ad un suono già di per sè personale. Una bomba, insomma. Ecco l'intervista.

Cominciamo con lo svelare di dove siete visto che qui su Skype leggo Verona?
Paolo: Noi in realtà siamo di Mantova ma siccome nessuno sa dov'è alle volte siamo stati identificati come veronesi o come emiliani.

Invece è una città bellissima dal punto di vista architettonico, anche se viverci immagino sia tutto un'altro paio di maniche!
P: Assolutamente! Hai detto bene!

Partiamo con il classico racconto a ruota libera sulla nascita del progetto? Spiegando magari come mai avete scelto come nome il discusso aeroporto di Berlino voluto durante il regime... Anche se vi dirò che un nome tedesco mi sembra adatto alla vostra musica.
P: Sì, così evitiamo di farci dire che cosa ne pensa Marco [a capo dell'etichetta Hell Yeah!, NdR], il quale all'inizio era piuttosto perplesso proprio sulla scelta del nome... Dunque, Tempelhof nasce nel 2007 dopo le precedenti esperienze mie e di Luciano nel mondo del rock e dell'indie rock. Ci siamo ritrovati a suonare nella stessa band, Love is the answer, con la quale in realtà non abbiamo mai inciso nulla. Una volta finita quella breve esperienza – credo sia durata meno di un anno – Luciano, che ha un'esperienza di dj e sa mettere mano al lato produttivo della musica, ha cominciato a darmi una mano con una serie di canzoni per chitarra e voce e da lì, a forza di trovarsi in studio, mi ha fatto sentire una traccia sulla quale ci siamo trovati a lavorare insieme. Poi viene il mio viaggio a Berlino a casa di un amico disegnatore, Mizzi Stratolin, il quale mi porta a vedere proprio l'aeroporto di Tempelhof. Lì è scattato qualcosa: sono tornato a casa e ho proposto a Luciano di intraprendere questa strada, avendo già scelto il nome. Dopo avere messo insieme qualche traccia un nostro amico che lavora alla Cineteca di Bologna ci ha chiesto di musicare alcuni film di loro proprietà: è fondamentalmente il materiale che si può ascoltare nel primo disco uscito per l'etichetta Distraction Records di Newcastle.

Come siete arrivati a loro?
P: in realtà sono loro che sono arrivati a noi, nel senso che, come si conveniva ai tempi, siamo stati contattati per una serie di tracce che avevamo caricato sul nostro profilo Myspace. Da lì la collaborazione con il primi disco uscito nel dicembre 2009. Nel frattempo noi abbiamo continuato a sperimentare spostando un po' i nostri interessi musicali e incontrandoci infine con Marco di Hell Heah! che ci ha proposto dei remix per Ajello, Crimea X, Margot, Confusional Quarter, ecc. Poi è arrivato il momento di fare delle cose solo nostre e dopo varie notti insonni siamo arrivati a questo "You K Ep", dovuto ad una cernita selvaggia del nostro hard disk da parte di Marco.

Come possiamo definire quello che fate da un punto di vista musicale?
Luciano: Mah, abbiamo in testa suoni molto diversi e alle volte anche noi non sappiamo dove andare a parare. Gli ascolti ci deviano perché un giorno possiamo ascoltare un disco di Giorgio Moroder e l'altro degli Explosions in the sky, e un altro ancora di Aphex Twin. Quegli stimoli ci fanno cambiare idea, ci spingono in una direzione che prima non avevamo valutato.

Vogliamo fare un esempio? Tipo "Love – An interpretation" che a me piace molto?
L: Lì siamo partiti dalla voce, registrata da Paolo, e poi abbiamo cominciato a lavorare sugli arrangiamenti finché non si è aggiunto lo zampino di Marco...

Beh, quando si crea questa sintonia fra chi la musica la fa e chi la deve veicolare tanto di guadagnato no?
L: Certo, si tratta di una cosa che abbiamo davvero voluto e cercato. Fra l'altro di quel brano esistono almeno dieci versioni, potremmo farci un album!

Dieci variazioni sul tema...
L: Due palle mai viste, ma insomma... [ride, NDR]

Venendo invece all'ambiente musicale nel quale vi muovete, quello a cavallo fra italo disco, kraut, balearic, mi pare di percepire un sincero desiderio di collaborazione, promozione e scambio musicale fra artisti. Penso ai remix che avete fatto ma anche alla vicinanza geografica...
L: Noi gravitiamo intorno al mondo emiliano della musica elettronica dove tutti si conoscono. Ci sentiamo spesso ad esempio con Dj Rocca di Ajello: con lui io ho imparato a fare i miei primi editing. Prima è nato un rapporto di amicizia con gran mangiate di risotti [ride, NDR] e poi lo scambio musicale, con ascolti incrociati e con la ricerca sulle macchine che usiamo per suonare. Io e Paolo ad esempio siamo come le ragazze che vanno a fare shopping il sabato: ci chiamiamo per dirci che c'è quel particolare synth, che c'è quella drum machine... Questo è sicuramente il primo approccio che abbiamo avuto con la zona. E' come stare con gli amici al bar.

(Foto di Riccardo Simula)


Parlando allora di attrezzature, con che cosa lavorate?
L: Molto analogico e pochi vst. Le prime volte in cui uscivamo per il live, infatti, era un disastro di sintetizzatori e cavi. Poi ci siamo dati un po' una calmata.

E qui rientriamo in tutta la polemica sull'uso di tracce presettate e il can can che si è creato qualche mese fa intorno alle dichiarazioni di Deadmau5: "We all hit play"...
L: Premettendo che a me Deadmau5 non piace, per usare un eufemismo, sono convinto che ci debba essere un po' di movimento sul palco per creare interesse intorno ad un live. Anche per produrre varietà rispetto alla costruzione stessa della traccia.

Rimettete mano alla musica durante il live?
L: Di solito siamo un po' più rock dal vivo, però dipende molto dalle situazioni in cui suoniamo.

Quanto conta la vostra esperienza musicale in questo senso?
P: Entrambi siamo molto orgogliosi del nostro essere musicisti, del nostro background. Siamo passati da una maggiore attenzione alle chitarre ad un interesse per synth e altri strumenti, però il fatto di suonare dal vivo (con tutti i rischi che ti prendi perché vai in giro con macchine che prima o poi possono lasciarti a piedi) continua ad essere per noi una grande stimolo. Sai che puoi sbagliare, ma sai che se la fai bene viene fuori una bomba. Se dovessimo avere un approccio più "giovanilistico" non credo che quello che facciamo ci darebbe altrettanta soddisfazione. Inoltre c'è il pubblico, al quale devi qualcosa. E questa consapevolezza la dobbiamo alle nostre esperienze musicali precedenti.

Che cosa ne pensate insomma degli imperanti laptop set?
P: Non credo si debbano demonizzare. Noi abbiamo visto cose molto diverse, da Gold Panda a Murcof: alcune esaltanti, altre avvilenti. Ognuno sceglie il modo più adatto al proprio percorso musicale. Certo risulta più appagante vedere uno che si dà da fare sul palco e avere l'impressione di capire che cosa sta facendo, che l'opposto. Tutto sommato si ripresentanto le annose questioni di onestà verso sé stessi ecc. ecc.

Tornando un po' ai vostri progetti, so di un album in arrivo.
L: Sì, l'idea è quella di arrivare all'album, preceduto prima da un altro Ep. Materiale ne abbiamo, due o tre volte a settimana siamo in studio a rimettere mano, ad ascoltare, ad aggiungere. Credo che ci potremmo essere in un lasso di tempo ragionevole, tipo la primavera prossima. Dipenderà anche da Marco e dalle nostre infinite riunioni in studio che di solito finiscono sempre... in un risotto.
 

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L'articolo Tempelhof - Music for airports di Francesco Fusaro è apparso su Rockit.it il 2012-12-12 00:00:00

Tag: dubstep

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