Adesso ho qualcosa da dire: Nic Cester racconta “Sugar Rush”

Il cantante dei Jet racconta il suo primo album solista, in uscita oggi, registrato con i Calibro 35 e Tommaso Colliva

Il Sixieme Bistrot è un locale di milano nascosto tra i navigli, fra piante e bottiglie di vino. Quando arrivo Nic Cester ne prende una e la porta fuori, è questa la prima cosa che dice: "ti posso offire del vino?". Il cantante dei Jet, con un italiano quasi perfetto, è un australiano con sangue del fiuli, come il vino che si porta dietro. E come "Sugar Rush", il suo disco in uscita il 3 novembre, registrato tra Milano e Londra con i Calibro 35, inglese nella lingua e nelle influenze, italiano in tutto quello che sta intorno. Musicisti compresi.

Non vorrei aprire con una domanda sul tuo vecchio gruppo, ma te lo devo chiedere. Cosa ne è stato dei Jet e perchè hai deciso di fare un album da solo?

Ero arrivato ad un punto in cui sapevo le cose che non volevo fare e quelle che invece mi interessavano. Con i Jet si era creata un'atmosfera in cui non ero più a mio agio, mi sentivo creativamente molto stretto. Il problema è che siamo cresciuti troppo e troppo in fretta, eravamo dei ragazzi e prima che ce ne rendessimo conto siamo diventati delle rockstar. I Jet erano diventati un brand, tra di noi l'atmosfera era pesante. Stavamo perdendo l'amicizia, tra me e mio fratello c'erano troppi problemi e non mi stava piacendo più quello che facevo. Il punto è che a me piace il rock, ma non volevo essere in una rock n' roll band. Alla fine comunque i nostri problemi ce li siamo creati noi, non posso puntare il dito contro nessuno. 

Da "Shaka Rock", l'ultimo album in studio dei Jet, sono passati 8 anni. Come pausa la tua è stata piuttosto lunga, cosa significa pubblicare un disco dopo così tanto tempo?

Quando ho detto alla mia casa discografica che volevo tornare con un nuovo disco la prima cosa che mi hanno risposto è stata "Nic, ma tu sei scomparso, non hai nemmeno una pagina instagram o facebook!". Non me ne fregava niente dei social network o di restare nel giro, era vero. Sarei potuto uscire subito con un disco solista, dopo i Jet intendo, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Non avevo davvero delle cose da dire, non era il momento giusto e forse non ero maturo io, così sono scomparso. In quegli anni però ho viaggiato moltissimo, ho vissuto in Italia, a Berlino, in Irlanda e a New York, non ci sarei mai riuscito senza i Jet, probabilmente non avrei mai fatto questo disco, direi che comunque non è stato tutto inutile. Ora voglio tornare a suonare, adesso ho qualcosa da dire. 

"Sugar Rush" in questo senso forse è un disco più maturo rispetto agli album dei Jet. Non so se è un disco adulto, sicuramente è un album più ragionato, con più blues e meno rock n' roll. Il Nic Cester di questo album è maturato anche artisticamente rispetto al Nic Cester dei Jet?

È un disco più consapevole, io sono più consapevole. So quello che voglio fare della mia musica. In questi anni ho accumulato esperienze, persone che ho conosciuto, posti che ho visto, sono cresciuto molto come persona. Quello che è venuto fuori alla fine è effettivamente un disco più maturo, con delle storie alle spalle delle canzoni. Questa volta era molto più a fuoco quello che avevo in mente, ma senza i ragazzi non ce l'avrei mai fatta.

Veniamo a questo, il disco è stato registrato da Tommaso Colliva con i Calibro 35. Solitamente alcuni artisti italiani scelgono di registrare o fare il mix del loro album in città come Londra, New York o Melbourne, tu hai fatto il contrario. So delle tue origini italiane e che hai casa a Como, ma come sei finito con un album e una band quasi esclusivamente "made in italy"?

Non mi sono mai sentito davvero australiano. Nonno è di Ercole, in provincia di Pordenone, mentre mia nonna è di Treviso, il mio cognome può sembrare inglese ma è friulano. Per i miei amici io ero quello che da piccolo mangiava sempre cose strane, era una specie di alieno. Quando è morto mio papà ho sentito l'esigenza di riprendere il legame con questo paese, non volevo perdere questa eredità e con il tempo davvero si è rivelata un'esigenza. Dopo la pausa con i Jet ho conosciuto un sacco di persone qui che sono diventate fondamentali non solo nella mia vita ma anche nella mia musica, come Tommaso Colliva appunto. Sono stati lui e Sergio Carnevale a creare la Milano Elettrica.

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Qui arriviamo al secondo punto, una delle cose più interessanti è la tua band: La Milano Elettrica. Suoni con musicisti con esperienze diverse, ma tutti di gruppi italiani. Come avete messo insieme la band?

Il merito è di Sergio, che è uno dei due batteristi. Ho registrato l'album con i Calibro 35 che sono stati fondamentali nell'arrangiamento di alcuni pezzi, a partire dall'utilizzo di due batterie, una acustica ed una elettronica. Loro però sono già troppo impegnati con i loro concerti per seguire anche me, così abbiamo creato la Milano Elettrica. Questo mi ha aiutato però a cambiare prospettiva e ripensare tutto l'album da un nuovo punto di vista. Veniamo da esperienze diverse, è vero, ognuno mette qualcosa. Sergio che appunto viene dai Bluvertigo ed è una delle due batterie insieme a Daniel (Selton). Poi ci sono Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Roberto Dragonetti e Raffaele Scogna, che suonano con Ghemon. Questo si sente quando suoniamo, siamo un misto di così tante cose che ogni volta è come la prima.

C'è qualcosa che ti manca dell'Australia qui, o qualcosa che dall'Italia porteresti a Melbourne?

Sicuramente la burocrazia, e la politica, sì quelle le vorrei australiane (ride). Qui però avete un modo diverso di vedere le cose, questo mi manca in Australia. So che sembra scontato, alla fine è un po' il luogo comune sull'italia quello del buon vivere, ma è vero. Anche nella musica è così, dove sono cresciuto la gente segue tantissimo le mode. Se qui un disco funziona, se i testi e la musica sono belli, la gente verrà a sentirti. Non importa l'età o l'estrazione sociale, quando abbiamo suonato a Lucca c'era gente di tutti i tipi, è stato meraviglioso. 

Qual è il tuo rapporto con la musica italiana?

Ci sono cresciuto. Uno dei primi ricordi che ho è quello di mio nonno, che era un tenore, e la sera si metteva al pianoforte. Bastava ci fosse una bottiglia di vino ed andava avanti tutta la notte, questo è uno dei miei primi ricordi. Un anno fa mia madre mi ha rivelato che il mio nome, Nic, deriva dal fatto che ascoltava tantissimo Nicola di Bari, te lo giuro. La musica italiana mi ha sempre affascinato, mi piace la cura dei testi e l'attenzione alle parole, anche se non sempre capisco tutto. Per quanto riguarda la musica contemporanea adoro Brunori, lui è davvero fantastico. Un altro che mi piace tantissimo è Francesco Motta.

"Sugar Rush" esce il 3 novembre, immagino sarete impegnati con la promozione ora, poi partirà il tour. Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Esattamente, domani partiamo per l'Australia, suoneremo a Sidney e Melbourne, poi mi fermerò un po' lì. Suoneremo anche in Italia sicuramente, il tour sarà una cosa divertente perchè è tutto nuovo, non solo per me ma per tutti. Suoniamo tutti da un po', chi più chi meno, ma questa è una cosa nuova. E sto diventando padre, mia figlia nascerà tra poco. A dirla tutta stiamo cercando un nome italiano. 

 

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L'articolo Adesso ho qualcosa da dire: Nic Cester racconta “Sugar Rush” di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2017-11-03 09:48:00

COMMENTI (1)

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  • albertobussolin 7 anni fa Rispondi

    A settembre l'ho visto in concerto a Milano ed e' stato spettacolare!!