La frase è quella che compare alla fine di un episodio dei Looney Tunes: "That's All Folks!", si può leggere in corsivo sulla copertina del disco. Ma qua non siamo di fronte a un cartone animato, anche se l'incredibile storia che vede per protagonisti i Not Moving sembra più un sogno che realtà: nati all'inizio degli anni '80 a Piacenza, hanno suonato ovunque, aperto i concerti di Clash, Iggy Pop e altre leggende del punk, attraversato l’Europa con le chitarre in spalla, rimanendo sempre fieramente indipendenti. E anche dopo cambi di formazioni, lunghe pause e reunion periodiche, ora siamo davvero giunti al capolinea.
Con questo ultimo album, quindi, si chiude una storia quasi cinquantennale, ritornando alle radici blues rivoltate dalle sonorità punk che da sempre contraddistingue il suono dei Not Moving. Abbiamo quindi raggiunto i tre membri rimasti del gruppo, Antonio Bacciocchi, Rita Lilith Oberti e Dome La Muerte, per farci raccontare questo ultimo capitolo discografico, i momenti più assurdi vissuti insieme e che eredità rimane a chi è un ragazzino oggi e vuole diventare una rockstar.

Quindi, è finita davvero? Come mai?
DOME: Nonostante l'età, il palco lo teniamo ancora bene, con la stessa passione e determinazione, ci mettiamo il cuore e tutte le nostre forze. Il problema è tutto il contorno: carico e scarico strumenti, viaggi di km, andare a letto di mattina... Comincia a spezzarci.
ANTONIO: Il rock è nato e proseguito a lungo come fenomeno adolescenziale, pertinenza dei giovani. Raggiunta una certa età è meglio farsi da parte, finché siamo ancora in grado di andare su un palco nel modo più dignitoso possibile, come abbiamo sempre fatto.
Dopo un paio di anni caratterizzati da grandi reunion (in Italia, su tutti, i CCCP), voi programmate la fine con un album d'addio. Come è nata la scelta di chiudere con un ultimo disco?
DOME: Volevamo salutare il nostro pubblico con un album che raccogliesse tutte le nostre radici e poi perché avevamo ancora qualcosa da dire. E la stessa voglia e urgenza di una volta di scrivere nuove canzoni.
ANTONIO: Con l'idea di chiudere la storia del gruppo. Un commiato finale con tutto quello che abbiamo sempre amato musicalmente, ci stava.
RITA: Personalmente ho sempre bisogno di avere un termine per muovermi nella mia testa. Mi turba l’infinito. Poi mi riservo sempre la possibilità di cambiare idea.

Cosa farete adesso?
DOME: Faremo un tour, più o meno lungo, poi l'intenzione è quella di chiudere questa avventura. Non so cosa faranno i miei compagni, ma io, se sarò in salute, continuerò a suonare.
ANTONIO: Credo che smetterò di suonare la batteria dopo quasi 50 anni. Per me si chiude un'epoca, un mondo, una vita. È ora di incominciarne un'altra.
RITA: Io vorrei essere sorpresa dalla vita. Non sono mai stata ferma e non lo farò nemmeno ora. E anche qua mi riservo la capacità di cambiare idea.
Cosa vi mancherà più di questo gruppo? E cosa di meno?
ANTONIO: Per me è un mondo che, volutamente e serenamente, finisce, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, i momenti esaltanti e le tante illusioni e delusioni. Va bene così, perché è una decisione consapevole.
RITA: Se conto che ho iniziato con i Not Moving a 16 anni e hanno accompagnato le fasi salienti della mia vita, ora che ne ho 60 mi mancherà tutto il bello. Sul brutto ci scriverò delle canzoni.
La vostra carriera è stata abbastanza incredibile e atipica, almeno per un gruppo italiano. Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi siete levati negli anni?
DOME: Penso, al di là di aver aperto i concerti per molti dei nostri idoli, è il fatto di essere ancora sul palco a 67 anni, rimanendo tutta la vita nella scena indipendente, con orgoglio.
ANTONIO: Andare su un palco e suonare davanti a un pubblico che è venuto apposta per te, a volte anche da molto lontano. Fare dischi che la gente apprezza e ascolta a casa. Era la cosa che desideravo di più quando ho incominciato a suonare. E dopo un migliaio di concerti e oltre un centinaio di dischi su cui ho suonato è la soddisfazione più grande. E poi tutti quei viaggi, in ogni provincia italiana, in mezza Europa, negli States, solo per andarci a suonare. Un sogno stupendo che si è realizzato.
RITA: Ho avuto la possibilità di esercitarmi. È stata una scuola di teatro, è stato un costante luogo d’incontro. Ho sviluppato la mia capacità di comunicare, di ribellarmi, di avere un’opinione poliedrica, non legata all’estrema provincia da dove arrivo.

E qualche situazione assurda in cui vi siete trovati?
ANTONIO: Dormire in Germania sul pavimento di un appartamento il cui proprietario aveva una ventina di tartarughe che ti giravano intorno. Dormire in un casolare in Puglia (sempre sul pavimento, ovviamente) in cui ci avevano detto che c'erano i fantasmi, ne avevamo riso e invece abbiamo passato la notte circondati da rumori sinistri e inspiegabili. Attraversare la Germania Est per andare a suonare con Litfiba e Pankow a Berlino nel 1984, tra gli sguardi attoniti di chi non aveva mai visto punk o affini. Le 12.000 persone che ci trovammo davanti supportando i Clash a Milano, sempre nel 1984.
RITA: Una delle cose assurde è che quando sei una ragazza credi che chi ascolta la tua stessa musica la pensi allo stesso modo e che si sia tutti amici e fratelli. In realtà scopri che il mondo della musica è un microcosmo che alla fine rappresenta ciò che è in realtà la società. Non sempre una bella cosa.
Il live più emozionante per voi, invece?
RITA: Suonare al Teatro Goldoni di Livorno per il Premio Ciampi alla carriera conferitoci nel 2023 e vedere la platea alzarsi sul coro della nostra “Love Beat”.
ANTONIO: Vedere Joe Strummer e Paul Simonon che ci osservano attentamente mentre suoniamo prima dei Clash, quelli che vedevo ogni giorno nei poster nella mia camera, che alla fine si complimentano sinceramente mi ha fatto parecchio effetto.

Della musica di oggi cosa ne pensate? C'è qualche gruppo attuale che vi piace particolarmente?
ANTONIO: Ogni giorno ascolto qualcuno di veramente valido, sia italiano che estero. C'è molto fermento e tanta energia, eccellenti dischi e gruppi di grande valore artistico. Il momento è molto caotico e difficile per riuscire ad emergere, pochi locali, una bulimia di musica che esce ogni giorno, poche etichette e pochissimi sbocchi per suonare dal vivo o avere una pubblicazione supportata a dovere.
RITA: C’è talmente tanta musica che rende i miei ascolti molto disordinati. Passo da Fantastic Negrito alle The Darts, torno a Willy De Ville e gli Stones, poi mi fisso per un giorno su Andrea Laszlo De Simone o su Fire di Barns Courtney perché l’ho sentito in un film.
Che messaggio vorreste mandare a chi oggi prende in mano una chitarra per la prima volta?
DOME: Non cercate l'approvazione e il consenso di nessuno, forse riuscirete a tirar fuori qualcosa di nuovo a creare una scena.
RITA: Da cantante con una voce atipica l’invito è di puntare sulla propria espressività anche se si è gli unici in un mondo di voci diverse. Non tutti devono fare le note alte nei cori, reminiscenza delle mie esperienze nei cori della chiesa.
ANTONIO: Suonare in un gruppo rock ‘n’ roll è la cosa più divertente che vi possa capitare, qualunque sia l’esito della vostra carriera. A noi non è mai importato il mero aspetto economico, tanto meno il successo ma rifaremmo tutto da capo. È stato troppo bello.
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L'articolo Not Moving: “È stato troppo bello. Rifaremmo tutto da capo” di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2025-11-03 10:59:00
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