Omid Jazi - Cambiare nome per rimettersi in gioco

Dopo aver suonato in tante band tra cui Verdena e Criminal Jokers, Omid Jazi diventa Kazemijazi e si prepara a pubblicare un nuovo album: lo abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa di più.

Kazemijazi (foto di Erica Faggiano)
Kazemijazi (foto di Erica Faggiano)

Dopo tante esperienze in varie band come Verdena e Criminal Jokers, e con due album da solista all'attivo, Omid Jazi diventa Kazemijazi - è il suo cognome- e continua a sperimentare nella musica preparando il suo nuovo disco: da Londra, dove vive da diversi anni, ci ha raccontato qualcosa in più su di lui e il suo progetto artistico.

Vivi a Londra da un po’: come mai questa scelta? Credi ci siano più opportunità per un artista?
Cinque anni fa ho avuto l’opportunità di partire per Londra pensando di rimanerci giusto per poco, più che altro per vivere un’esperienza all’estero. Poi mi ci sono trovato bene e ho notato che, ad oggi, per il mio stile di vita, abitare a Londra è più conveniente, e quindi eccomi ancora qui. Per quanto riguarda le opportunità, magari qui possono anche essere più numerose poiché la scelta è più ampia, ma al tempo stesso ci sono molti più musicisti e quindi maggiore competizione. Alla fine la differenza sta nei numeri: il buon esito (o viceversa), è sempre in mano alla singola persona.

Hai iniziato a suonare da bambino, come ti sei avvicinato alla musica? Qual è stato il tuo percorso, quali gli artisti che ti hanno influenzato?
Ho iniziato ad avere confidenza con la musica fin da bambino perché mio padre suonava in un gruppo di musica tradizionale persiana e quindi aveva sempre musicisti persiani che gravitavano intorno a lui. E io rimanevo ore ad ascoltarli e a volte mi improvvisavo anche tecnico del suono per loro, dato che mi veniva chiesto di accompagnarli ai concerti, nonostante non sapessi ancora bene quello che stavo facendo e facessi fischiare tutto! Alla fine, avendo sempre avuto a disposizione strumenti, ho iniziato a suonicchiare a poco a poco per conto mio, finché un giorno ho deciso di prendere lezioni di pianoforte e iscrivermi al conservatorio. Ho studiato musica classica per un po’, dopo ho scoperto il rock, mi sono tinto i capelli, ho lasciato il conservatorio e ho iniziato a fare cover dei Nirvana, poi dei Radiohead, buttandomi nell’alternative. Chi mi ha influenzato maggiormente sono stati due gruppi, che mi hanno improntato su un certo periodo storico, quello degli anni '80: i Queen e i Duran Duran. Un simpatico aneddoto a proposito di questi ultimi è che quando andavo in Iran d’estate, avevo una cassetta dei Duran Duran con me ("The Wedding Album"), ed era un tipo di musica che non esisteva lì e io venivo invitato da amici e parenti in macchina e giravamo ascoltandola a palla perché erano tutti gasatissimi! Altri gruppi fondamentali sono stati i Pink Floyd, gli U2, nonché la musica classica e dopo qualche anno ho conosciuto i Radiohead, quando è uscita "Karma Police", e da lì sono entrato a pieno negli anni '90.

(foto di Erica Faggiano)

Dal tuo primo EP con i Feedback, la band con cui hai esordito, sono trascorsi 20 anni, e da allora hai vissuto tantissime esperienze, con Verdena, Water in Face, Supravisitor e Criminal Jokers: cosa ti porti dietro di ognuna?
Per quanto riguarda le collaborazioni con altri amici, porto con me bellissimi momenti e ritagli di tempo che ho trascorso condividendo la musica con altre persone. Mentre dei miei progetti (Feedback, Supravisitor e Water in Face) mi porto dietro tutto ciò che ho imparato soprattutto nella composizione, scrittura dei brani e la mia identità come musicista, nonché un sacco di materiale inedito su cui sto lavorando.

Hai due album da solista all’attivo, “Onde Alfa” e “Tooting Bec”, entrambi costruiti su un immaginario surreale ed evocativo, dove il linguaggio è spesso complesso e altrettanto personale: dove prendi l’ispirazione? Cosa vuoi comunicare?
Diciamo che vado un pò a periodi: quando posso dedicarmi completamente alla musica, la prendo come un vero e proprio lavoro iniziando sin dalle prime ore del mattino, sono un early morning come si dice qui. Ed è grazie a questo modo di lavorare che induco lo “stato d’ispirazione”. Come hai detto tu, l’immaginario per me è surrealista ed evocativo, quasi non razionale oserei dire, proveniente non dalla mente, ma da un altro livello percettivo, e quando questo avviene non devo neanche più preoccuparmi di scrivere un testo, perché viene fuori tutto da sé, non è un processo attivo, succede e basta. Per la musica invece, il discorso è completamente diverso perché la vedo a livello numerico e visivo.
Di solito gli argomenti che tratto fanno parte di ciò che mi appassiona di più, ossia l’invisibile o il non conosciuto e nel pratico questo può essere sintetizzato in ciò che riguarda l’universo e l’ignoto, e spesso mi capita di usare frasi che possono essere l’equivalente di un’espressione algebrica in cui tu sposti gli elementi cercando assonanze e sonorità alternative rispetto a quello che potrebbe essere un linguaggio quotidiano.

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Il video di "Anomalia", brano contenuto nell'album "Tooting Bec" (2015)

Da solo o in una band: qual è la tua dimensione ideale?
Non ho preferenze. Per me si basa tutto sulla funzionalità. Ad esempio se dovessi scrivere un album al pianoforte e voce, logicamente una band non avrebbe molto senso, mentre se scrivessi (come faccio spesso) brani dove ci sono orchestrazioni per vari strumenti, suonarli da solo su un palco potrebbe essere riduttivo, quindi dipende tutto dal materiale, e anche dalle persone ovviamente.

Come mai questo cambio di nome da Omid Jazi a Kazemijazi? Cosa simboleggia questo nuovo progetto?
Penso che il mio cognome (Kazemijazi) non lo abbiano in molti ed è proprio questo il concetto che definisce e rispecchia meglio anche a livello di marketing ciò che voglio esprimere a livello musicale: essendo una parola abbastanza lunga e difficile da ricordare, richiede uno sforzo e un livello di attenzione maggiori da parte di chi eventualmente mi ascolterà. Chi mi ascolta deve avere voglia di scoprire i vari strati che formano ogni brano. I miei dischi precedenti fanno comunque parte di questo percorso, e probabilmente più avanti darò loro nuova vita facendoli ri-uscire sotto il nome attuale. Si tratta per cui di un rilancio completo, una messa in gioco in grande e definitiva di ciò che sono io.

Hai pubblicato su YouTube diversi video delle versioni demo dei tuoi nuovi brani per avere riscontri: ti piace mantenere un contatto aperto col tuo pubblico? Quanto credi sia importante piacere agli altri?
Un contatto aperto con il pubblico penso sia fondamentale, per non cadere nel cliché della rockstar soprattutto, cosa che a me non interessa. A parte questo è comunque bello perché i social ti permettono, oltre che di esprimere e condividere quello che fai, anche di entrare in rapporto con le singole persone, senza veli, come se fossero amici e secondo me è una cosa molto interessante ed edificante in alcuni casi. Piacere agli altri, non penso sia una cosa che debba avere molta importanza per un 'artigiano delle emozioni'. Deve essere secondario. È più un discorso di risonanza quello che cerco, più che piacere agli altri.

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In questi nuovi pezzi i testi sono in inglese: una scelta funzionale o sentivi proprio il bisogno di cambiare?
Non tutti i testi sono in inglese. Ad esempio ci sono anche dei pezzi in italiano e altri cantati addirittura in tre lingue (Italiano, Inglese e la lingua d’origine dei miei genitori, il Farsi). Però sì, l’inglese domina per un semplice motivo, se vogliamo un pò buffo: nel momento in cui sono venuto a Londra, come dicevo prima, non avevo piani a lungo termine, e quindi pur trovandomi qui ho scritto il mio disco "Tooting Bec" in italiano. Quando poi ho iniziato a portarlo fuori dal vivo mi sono reso conto, un pò ingenuamente, che non aveva senso cantare in italiano a Londra. Da lì ho deciso che il prossimo lavoro sarebbe stato per lo più in inglese.

Segui la scena musicale italiana? C’è qualcosa che ti piace?
Purtroppo non seguo attivamente la scena italiana perché, secondo me, per farlo devi essere parte del paesaggio e purtroppo la distanza me lo impedisce. Tutto ciò che vedo è attraverso i canali che seguo, tra cui voi, e altri. Se devo essere sincero la Trap non mi entusiasma molto…
Non posso fare a meno di notare con piacere la scena italiana 'post-Cani'. Si è creato un vero e proprio zoccolo duro, una nuova forma di cantautorato italiano che si è mescolata con la musica elettronica e l’indietronica e ha preso piede in Italia in maniera eccelsa grazie a I Cani, e questo glielo si deve riconoscere.

Sai già quando uscirà il tuo nuovo album? Puoi darci qualche anticipazione su come sarà?
Per quanto riguarda il come sarà l’album, posso dire che mi sento molto fortunato: a Londra è complicato registrare perché gli studi sono molto costosi e allo stesso modo come produttore, avere uno studio attrezzato in casa non è facile, ma con un po' di fortuna sono riuscito a mettere insieme alcuni strumenti, tra i quali una Juno-106, una drum machine, altri strumenti analogici, un setār (strumento persiano), un pianoforte che ho accordato io stesso a 432 Hz… Quindi facendo due più due potete immaginarvi qualcosa con queste sonorità. Riguardo la data d’uscita non lo so assolutamente, spero presto comunque.

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Pensi di passare in Italia per presentarlo dal vivo?
Se ci sarà l’opportunità molto volentieri!

Cosa ti manca di più dell’Italia, sia da un punto di vista artistico che puramente umano?
Per il momento niente, nel momento in cui mi mancherà davvero qualcosa tornerò il prima possibile.

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L'articolo Omid Jazi - Cambiare nome per rimettersi in gioco di margherita g. di fiore è apparso su Rockit.it il 2019-05-13 10:00:00

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