Davide Panizza, il canotto Pop X sbarca alle Antille

Il leader della formazione trentina ci parla del nuovo disco, della sua doppia vita da musicista e insegnante e del ritorno in pianta stabile dell'amico di sempre, Walter Biondani.

Una bella foto promozionale di Davide Panizza e Walter Biondani, in arte Pop X
Una bella foto promozionale di Davide Panizza e Walter Biondani, in arte Pop X

"Ciao mona, ti chiamo fra 10 minuti per l’intervista ok?"

Per scrivere a Davide Panizza bisogna mandargli un SMS. Non ha WhatsApp, nel senso che non ha proprio lo smartphone. Vi ricordate quando eravamo tutti a discutere sul male che ci sta facendo lo scrolling, per poi ritrovarci due minuti dopo a scrollare come delle zucchine con la memoria a breve termine di una locusta? Ecco, lui si è chiamato fuori dalla faccenda. Anzi, nella faccenda non ci è entrato proprio mai. Ricevuto il messaggino mi richiama direttamente, per raccontarmi del nuovo album di Pop X, Antille, che uscirà il 28 febbraio per Bomba Dischi. Ma anche di altre cose come il ritorno all’italiano dopo una parentesi anglofona, il
grande comeback del suo partner in crime Walter Biondani, il passato e anche un futuro che vorrebbe esattamente così, com’è il presente.

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Sei a casa?

A casa dei miei in realtà. Oggi ceno da loro, come tutti i martedì.

Come mai non hai lo smartphone?

Se ne avessi uno, a quest’ora sarei in psichiatria. Mai avuto. Ho paura d’incorrere in una tossicodipendenza da Internet. Vedo già che quando sono a casa sono abbastanza fragile, ci sono abbastanza dentro. Se ce l’avessi anche in giro starei più di là che di qua.

Ho visto il video di Antille. Ma Walter là ci è andato davvero?

Ha fatto la traversata nel 2008 con un catamarano insieme ad altra gente. Dopo che ha preso la patente nautica ha fatto questa avventura estiva portandosi dietro la telecamera. Così abbiamo recuperato i filmati e li abbiamo montati insieme ad altre immagini che abbiamo girato qui a Trento.

È un pezzo vecchio quindi?

No, in realtà l’ha scritto lui a scoppio ritardato negli ultimi due anni. Di pezzi vecchi che ho ripreso in mano ci sono D’Annunzio e Down. Down avrà avrà almeno cinque o sei anni, D’Annunzio è del 2005. Era su YouTube, qualcuno l’aveva caricato lì.

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È un disco molto walteriano, si sente ovunque la sua chitarrina in levare.

Sì, proprio perché i pezzi sono stati scritti da lui per la maggior parte.

Lui però per un periodo qualche anno fa vi aveva mollato.

Walter per un po' non ha scritto più canzoni, poi un paio di anni fa si è ispirato ed è tornato. Ne ha
scritte alcune che secondo me erano fighe, quindi gli ho detto: "Dai, facciamoci un album". Ma
non ha mai smesso con la musica, semplicemente suonava per i fatti suoi. Aveva questo gruppo coi suoi coetanei che si chiamava Jenjyskà, anni fa ci avevo suonato anche io, però dal vivo ogni tanto veniva a fare qualche serata con Pop X. Coi Jenjyskà suonava così, in giro alle feste, mentre con questo disco è rientrato a pieno nella band. Lui aveva fatto queste canzoni, era convinto del loro potenziale ma non gli piaceva come venivano con la sua voce. Mi ha detto: "Prova a cantarci tu, riarrangiale e dagli una linea più omogenea".

È vero che vi siete conosciuti a teatro?

Ci siamo conosciuti nel 2003 dentro a una produzione del Don Giovanni di Mozart. Noi facevamo le comparse, ruoli parecchio marginali. Dovevamo apparire solo in una scena vestiti da camerieri portando un vassoio a testa. Per tutto il resto del tempo stavamo dietro alle quinte a bere e festeggiare. La cosa bella di questa produzione è che pagava. Era un'estate, io ero in quarta superiore credo. Ricordo ancora che la produzione ci dava 800 euro a testa, quindi figurati che festa. Poi la cosa figa era che oltre a non essere impegnativa ci dava la possibilità di girare l’Italia. Siamo stati in Calabria in aereo, Rovigo, Bolzano e Trento. Immaginati per due ragazzi poter girare in aereo, conoscere un po’ di figa, uscire di casa. Un sogno.

Poi avete mollato il teatro?

Walter ha continuato l’anno seguente nella produzione di un altro spettacolo, mentre io ho mollato dopo quello, non ricordo perché. È stata un’esperienza figa ma estemporanea: non posso dire che siamo appassionati di teatro. Ci siamo presi più di qualche sbronza...

La teatralità però l’avete conservata sul palco.

Sì, soprattutto nella prima parte della storia di Pop X. Da un paio d’anni abbiamo cambiato l’approccio, vogliamo suonare le nostre canzoni. Prima, l’aspetto scenografico era più importante. Lo è ancora, in realtà, semplicemente non così tanto.

Non vedremo più il tuo casco di LED pazzo?

A dir la verità ho ricontattato il vecchio che me l’aveva costruito per restaurarlo. Magari per
pezzi come Missile o Drogata schifosa lo tiro fuori.

In Antille i testi sono molto meno espliciti rispetto agli altri dischi.

Sì, ma ci sono anche molti meno concetti nebbiosi. C’è una narrazione, le canzoni sono storie
molto chiare da capire, pur mantenendo un’ambiguità nel significato. Anche la title-track è fatta di
tante immagini che però possono essere lette in chiave simbolica, allegorica.

Come l’Uomo Nero: che significa?

Quello ricorre spesso nei pezzi di Walter ma anche nei miei testi. Non so cosa possa significare,
forse la morte o un futuro incerto. O forse è proprio l’Uomo Nero di quando eravamo piccoli. È il
Dark Side di ognuno di noi, l’inquietudine onnipresente che nascondiamo dentro.

Siete comunque tornati a cantare in italiano. Lo scorso Notihng Hill era uno slancio internazionale?

Sì, ma non nel senso di commerciale. Quel disco lì è nato da una mia sbandata per Maitre Gims, un cantante congolese con una voce molto particolare, che io ho poi tentato di riprodurre in modo sintetico. L’inglese era improvvisato. Ma nasce tutto da questi ascolti di Maitre Gims.

E da piccolo che ascolti facevi? Com’è arrivata l’elettronica?

Principalmente cassette trovate in giro, molta dance ed elettronica, un sacco di Hit Mania
Dance. I pezzi dance che mi piacevano di più erano quelli più drammatici, come Gam Gam in versione truzza. Anche Gabry Ponte, cazzo, lui mi piaceva tanto. Se mi avessi chiesto di collaborare con qualcuno sicuramente avrei detto lui. Da sempre.

E infatti poi ci hai fatto una canzone, Tanja.

Tanja è nata in modo strano. Abbiamo suonato nello stesso festival di Gabry Ponte a Legnano. Prima di esibirci noi eravamo in albergo a mangiare, quando a un certo punto è arrivato lui col suo entourage. Ci ha fatto sentire un suo remix di Cattolica. Era esaltato. E pensare che un anno prima i ragazzi di Bomba Dischi avevano provato a contattarlo ma non avevano ricevuto una risposta. Qualche mese dopo sono andato a suonare a Torino, nel tour di Musica Per Noi. Mentre gli altri montavano gli strumenti sul palco sono andato nel suo studio al pomeriggio. Avevo questo pezzo, Tanja, che secondo me non avevamo mai valorizzato. Era rimasto sepolto nella nostra discografia. Gliel’ho fatto sentire dicendogli "Sarebbe figo fare una versione tamarra". Ho registrato la voce e poi l’ho salutato. Giorni dopo mi ha mandato una versione ancora troppo pop, non mi convinceva molto. Allora gli ho detto "Dai, spingi, lasciati andare, torna alle tue vere sonorità". Ed è uscito un pezzo incredibile.

Hai provocato Gabry Ponte e ha tirato fuori la cassa dritta.

Cazzo, la parte del crescendo prima della cassa è qualcosa di grandioso, è stato bravissimo. Quella roba al di là di tutto mi piace, me la metto su e mi gaso sempre.

 

Insegni ancora?

Sì, da cinque anni ormai. Ho sempre le mie ore di tecnologia musicale al Liceo Musicale di Trento e anche al Liceo delle Scienze Umane, dove fanno dei pomeriggi di musica. Oltre a esserci dei corsi classici di violino, eccetera, c’è anche tecnologie musicali.

Eppure potresti fare solo la vita da artista.

Oddio, dal punto di vita strettamente economico non so. Dovrei sbattermi per produrre qualcuno, cosa di cui non ho voglia. Insegnare è anche un modo per fare le mie cose senza compromessi, senza fare dell’artista un mestiere. Sono dell’idea che ognuno stia bene nella sua vita. Poi, che uno abbia ambizioni ci sta, ma la cosa più importante per me è mantenere un contatto con la realtà e allo stesso tempo fare le mie cose. Se poi uno fa successo con un pezzo, ben venga. Ma non fa parte dei miei obiettivi. Solo così posso vivere la musica in maniera ancora profonda. Non so come sarebbe se fosse il mio mestiere, ma nemmeno m'interessa. Nel mio caso, gli aspetti positivi sono che ho un contatto stretto con la materia, perché comunque la insegno e devo mantenere vivo l’aspetto più tecnico. E allo stesso tempo non sono completamente assorbito dal mondo della musica, che magari per questioni economiche mi obbligherebbe a scrivere canzoni per altri. Non mi va di scrivere una canzone per Giorgia o chessò, non m'interessa. Sono contento così. L'unica ambizione che ho è di continuare a fare musica in maniera serena.

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L'articolo Davide Panizza, il canotto Pop X sbarca alle Antille di ClaudioBiazzetti è apparso su Rockit.it il 2020-02-20 16:19:00

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