Don Joe & Shablo - Radiografia dell'hip hop italiano

"Thori & Rocce" non è semplicemente un disco. È la fotografia di un fenomeno in un momento storico: Don Joe e Shablo hanno creato il tappeto sonoro per più di 40 Mc, e l'album è schizzato immediatamente nelle posizioni alte delle classifiche, digitali e non, insieme a "Il Ragazzo d'Oro" di Guè Pequeno. E così l'hip hop supera il pop nelle vendite. La domanda, però, Enrico Piazza l'ha voluta fare lo stesso: come sta oggi l'hip hop in Italia?



Cominciamo dalle domande di rito: perché il titolo "Thori & Rocce" e come nasce l'idea di fare un album insieme?
L'idea di "Thori & Rocce" è nata in maniera abbastanza naturale: ci conosciamo da anni, collaboriamo sin da "Mi Fist", il primo album dei Club Dogo, ed era già da un bel po' di tempo che pensavamo di fare qualcosa insieme, unire le nostre forze e i nostri gusti per dare vita a un lavoro collettivo. Lo abbiamo fatto adesso perché abbiamo potuto approfittare di un periodo di relativa calma dal punto di vista professionale e siamo riusciti a conciliare i rispettivi momenti di pausa discografica. Il titolo rappresenta un punto d'incrocio fra i nostri mondi, sono due parole in slang che hanno lo stesso significato: a Perugia si usa "Toro" e a Milano "Roccia" per indicare un tizio che spacca. Sono appellativi che si utilizzano nei confronti di amici, sintetizzano il nostro universo e rendono l'idea della pasta con cui sono fatte le persone che partecipano al disco.

Come avete lavorato? Da remoto o insieme in studio?
Abbiamo voluto evitare di fare un album confrontandoci esclusivamente via internet. Ci siamo incontrati prima ad Amsterdam e poi a Milano, e abbiamo iniziato a buttare giù le prime idee. C'è stata una fase di brainstorming a distanza, per discutere la linea di base del progetto, ma il lavoro concreto lo abbiamo sviluppato insieme a Milano. Tra l'altro ci siamo trovati a stravolgere parte delle idee iniziali, perché essere fianco a fianco a realizzare qualcosa che era stato discusso solo a livello teorico ti porta per forza a improvvisare e rivedere parecchie cose. Ed è stato anche un processo abbastanza rapido, perché tutto è stato realizzato più o meno in sette mesi, quindi si può dire che è un lavoro partorito "di getto".


Il disco è stato presentato come una fotografia dello stato di salute dell'hip hop italiano. Qual è la vostra diagnosi sulla salute della scena, dopo questo lavoro?
Sicuramente c'è parecchio movimento, e c'è molta più alternativa a livello di nomi e di suoni rispetto al passato. Ci sono un sacco di nomi freschi che hanno voglia di fare e divertirsi e ci sono parecchie serate, dai concerti a quelle più clubbing. E soprattutto esiste l'opportunità di riuscire ad avere un contratto discografico e vedere il proprio lavoro promosso in maniera professionale, in modo da poter raggiungere più canali possibili. Il fatto che "Thori & Rocce" e "Il Ragazzo d'Oro" siano in classifica da un paio di settimane, inoltre, dimostra che i risultati ci sono. Ovvio poi che se vai a confrontare la nostra realtà con il resto della scena europea, o addirittura con quella statunitense, le differenze si notano a occhio nudo. In Italia il rap è visto ancora come qualcosa di nuovo, anche se esiste da ormai qualche decennio. Però diciamo che la visibilità che c'è in questo momento offre le basi per continuare a costruire qualcosa di buono.

C'è chi dice che è un fenomeno nuovo, ma c'è anche chi dice che l'hip hop è morto...
E chi è che lo dice?

Voci di corridoio. Mai sentite?
Mah, le voci di corridoio lasciano sempre il tempo che trovano. Sicuramente il fenomeno si è evoluto ed è stato soggetto a vari cambiamenti. Dire che l'hip hop è morto non trova però riscontro nei fatti. È cambiato il pubblico, quello sì; se vai a un concerto dei Dogo o di Fabri Fibra, ad esempio, trovi diverse tipologie di ascoltatori, non esiste più il pubblico stereotipato e in qualche modo chiuso che seguiva l'hip hop negli anni Novanta. Ma non si può dire che non ci sia un certo fermento. Cambia chi lo fa e cambia chi lo ascolta, ma dire che l'hip hop è morto è inesatto ed eccessivamente nostalgico. Ovvio che oggi non si può più parlare di hip hop negli stessi termini con cui lo si faceva quindici anni fa, anche perché non bisogna dimenticare che allora, in Italia, si arrivava dal periodo delle posse, per cui ci si trovava in un contesto diverso sotto molti punti di vista. Poi non è un discorso solamente italiano: anche Nas dice "Hip Hop is Dead", così come lo dicono molti altri. Le cose cambiano, cambia la mentalità e le scelte artistiche. Noi abbiamo fatto la nostra istantanea del momento, poi se qualcuno dice che l'hip hop è morto, bisognerebbe chiedere a quel qualcuno il perché.

Quale è stato il criterio di selezione degli ospiti? Non mancano dei nomi?
Siamo ovviamente partiti dalle persone con cui abbiamo già un rapporto lavorativo, poi abbiamo proposto il progetto a molti altri, ma per i più svariati motivi non tutti hanno accettato. Ci sarebbe piaciuto molto avere altri Mc con i quali siamo anche in ottimi rapporti personali e abbiamo già collaborato in altre occasioni. Ma questa volta non siamo riusciti a incrociarci, vuoi per le diverse visioni professionali o per il tipo di approccio. Sinceramente la cosa ci dispiace, ma crediamo che i 40 e passa nomi presenti in "Thori & Rocce" fotografino comunque bene il panorama attuale.


Dicevate prima di come il pubblico si sia negli anni differenziato. Anche a livello di suoni, in "Thori & Rocce", c'è una buona predisposizione al crossover. A partire dal singolo "Le Leggende non Muoiono Mai", con i riff di chitarra e il ritornello di Francesco Sarcina.
Beh, ormai con lo sdoganamento della musica e degli strumenti elettronici la contaminazione musicale ha interessato praticamente tutti i generi e, di conseguenza, tutti i tipi di pubblico: non c'è più lo stereotipo del B-boy con il pantalone largo e con il cappellino, e anche l'hip hop deve rivolgersi a un target più variegato, attento alle sonorità e ai gusti più svariati.

Qual è il futuro di "Thori & Rocce"?
Abbiamo in programma una serie di appuntamenti e Dj set, per l'estate e poi da ottobre in avanti. In studio il discorso è più vago. Per ora abbiamo il presente, per il futuro si vedrà in avanti, anche in base agli altri impegni.

E invece per quanto riguarda il futuro dell'hip hop?
Sicuramente uno che inizia oggi a fare rap ha molti più modelli rispetto al passato, anche italiani. Per cercare di capire come funziona, non deve necessariamente guardare all'America come si faceva una volta, oggi gli esempi li abbiamo anche in casa. Quindi ci sono parecchi stimoli, e tutti i presupposti perché la scena continui a crescere.

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L'articolo Don Joe & Shablo - Radiografia dell'hip hop italiano di Enrico Piazza è apparso su Rockit.it il 2011-06-27 00:00:00

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