Roberto Angelini - Roma, 21-02-2009

Sebbene fossimo entrambi a Roma, non è stato così semplice incontrare Roberto Angelini. Tra impegni personali e malanni di stagione, finalmente però l'appuntamento è riuscito. A ridosso delle mura di San Pietro, prima una colazione veloce, poi una lunghissima chiacchierata nel suo studio, il Clivo, dove registra anche una versione acustica di "Tramonto" fatta apposta per Rockit. Cominciamo a parlare de "La vista concessa", ma poi il discorso si dilata. Farò tardi ad un appuntamento a pranzo, ma va benissimo così.



Partiamo subito dall'album. Cinque anni per portarlo alla luce, per proporre un'indagine diretta del proprio sentire senza nessun pudore nell'esporlo.
E' naturale. Cioè, razionalmente se avessi potuto non farlo, non l'avrei fatto. Mettersi così a nudo è anche doloroso. In realtà è piacevolissimo quando trovi poi qualcuno con cui condividere quelle sensazioni ed è doloroso quando in realtà poi ti scontri con pensieri estremamente diversi dai tuoi, o come spesso mi è capitato agli inizi, col primo disco, di essere definito cupo, malinconico e triste. E la parola triste m'è sempre rimbombata nella testa. Adesso a questa età sono riuscito a farla tacere e non mi rompe più le scatole questa definizione però le canzoni che ho scritto per questo disco sono state per la maggior parte scritte di getto, considerazioni. E' un disco "vomitato", abbastanza nervoso, molto pensato nella musica, nei piccoli arrangiamenti. Nella scrematura poi, perché prima di arrivare a quattordici brani nel disco, in cinque anni ce ne sono stati parecchi.

Però ascoltando i testi comunque non mi sembra che le parole siano poco ragionate, anzi…
E' una questione di rapporto con lo strumento. Io scrivo in simbiosi con la chitarra e in realtà mi piace pensare che sia la chitarra a generare poi i testi. E nella maggior parte dei casi è così. Per esempio la seconda traccia del disco, "Tramonto" ha avuto una gestazione lunghissima, di quasi cinque anni, però non è stata tanto relativa al testo, ma è stata proprio la musica. Cioè per tanti anni ho suonato quel giro di chitarra, cercando di capire che melodia ci poteva stare sopra, di che cosa doveva parlare questa canzone che girava in maniera ossessiva, poi dopo anni, ma anni veri, s'è aperto lo spiraglio, con a parola "tramonto" che ha sviluppato tutto il testo. E nel momento in cui individui la parola chiave, tutto il resto vien fuori come un fiume. Ma ancora ho dei giri di musica che non hanno ancora trovato le parole. Il mio è tutto un rapporto con dei giri armonici e ritmici che stanno lì. La mia memoria è tutta piena di giri… ecco perché poi mi scordo gli appuntamenti (ride, NdA).

Ora vorrei prendere in considerazione alcune frasi estrapolate da "La Vista Concessa". "Credere nei propri sogni e inseguirli fino alla follia", e se quel sogno si rivelasse come "pensiero sbagliato", cosa succede?
Può essere dura. Sai, chi ha un sogno a volte con un po' di follia lo insegue, ma il suo talento può non essere compatibile col sogno. Può essere che il talento di ognuno di noi sia accanto, lateralmente, dietro al sogno. Un esempio. Magari c'è qualcuno che sogna di diventare cantante, ma il suo vero talento riguarda la produzione. Strada facendo lo scopre, perché il muro di gomma contro il quale si scontra sul desiderio di cantare ad un certo punto lo illumina. L'alchimia si crea quando il sogno corrisponde al talento. Di base inseguire un sogno per me è sempre importante, è quella cosa che ti dà energia la mattina quando ti svegli.

Quindi l'adattamento di un sogno al proprio talento personale può, essere secondo te, il giusto mezzo tra "il sogno inseguito fino alla follia" e la "perdita della passione quando il sogno ti sfugge", come ancora canti nel disco?
Se è necessario sì. Nella canzone "La Vista Concessa" la riflessione era su quante persone hanno smesso di credere, forse anche io in alcuni periodi. Dando la colpa a qualche evento estraneo, come certi eventi straordinari che, ahimè, ti costringono a lasciar perdere il tuo sogno. Anche se a titolo personale mi ritengo molto fortunato.

Diversi anche i riferimenti ai voli e alla paura di cadere. Perché?
Perché… perché si cade. In ogni caso, sempre con un significato positivo, nel senso che io amo emozionarmi, con la musica, col cinema, coi libri, quindi anche nel racconto musicale parlare di una cosa negativa, per poi dare uno spiraglio di luce sia, a livello emotivo, una cosa che mi piace, che mi dà emozione. Come raccontare della morte, per esaltare una vita.

Riesci a vivere di musica?
Tra alti e bassi. Prendo una frase che non è mia, che per me è meravigliosa: "L'artista contemporaneo è colui che contemporaneamente fa tante cose". Io penso che per sopravvivere di musica oggi devi fare tante cose, nell' "ambito musicale". Per me avere uno studio, poterlo affittare a terzi, lavorare per altre produzioni, fare il chitarrista per alcuni, fare l'autore per altri, oltre che le mie cose; tutto questo insieme ti permette di tirare avanti. Certo grazie anche al periodo di "Gattomatto", ho potuto permettermi di tirare su il posto in cui siamo adesso (Clivo Studio, NdA), fare degli investimenti sulle cose, certo prima non avrei potuto.

Parliamo del tuo coinvolgimento con l'Angelo Mai, importante centro sociale romano. Più precisamente col "Collettivo Angelo Mai", progetto musicale nato durante l'occupazione di due anni fa, prima dello sgombero. E' una questione puramente musicale o c'è anche una vicinanza "attiva" al centro?
Io sono stato chiamato da Pino Marino e Andrea Pesce, dopo il tributo a Nick Drake in cui era coinvolto anche Rodrigo D'Erasmo (l'attuale violinista degli Afterhours, NdR), per suonare in una rassegna dedicata a P.P. Pasolini, in questo spazio che tutti dicevano incredibile che era l'Angelo Mai. Quando siamo arrivati là ci siamo innamorati completamente del posto, delle persone che lo gestivano, dell'atmosfera che c'era. Da lì in poi, il mio personale apporto è stato sia musicale ogni volta che mi veniva chiesto e anche operativo a livello di organizzazione, di lavoro vero e proprio, anche, per esempio, nell'osteria. Posso dire che tutta la gente coinvolta, specie la persona di Pina, che da sempre si "occupa di occupazioni", mi ha aiutato a sensibilizzarmi sempre di più, ridandomi quel sano contatto con la realtà, anche se una realtà difficile, ma di certo fortemente sentita. Quindi è un'esperienza in cui io fondamentalmente ho imparato, imparo e continuo ad imparare.

Hai nominato prima Rodrigo D'Erasmo. Entriamo nell'argomento "Afterhours". Sei presente anche tu nella compilation "Il paese è reale", con quale modalità t'hanno coinvolto e come consideri tutta l'operazione fatta?
Ovviamente tramite Rodrigo ho conosciuto tutti gli altri Afterhours e si è creato come una sorta di gemellaggio tra questo posto e tutti i musicisti che ci girano intorno e Milano alle Officine Meccaniche, a Enrico Gabrielli, a Cesare Basile… Poi nella tourné che hanno fatto l'anno scorso hanno chiesto a vari artisti di aprire delle date, Rodrigo ha suggerito il mio nome e ho aperto le date a Roma e a Bologna, ed è stato incredibile, specie qui a Roma quando Manuel (Agnelli, NdR) ha urlato al pubblico "fate un applauso ad Angelini che c'ha i coglioni!". Così Manuel mi ha chiesto di fargli sentire un pezzo, per questa idea della compilation, io gli ho inviato una canzone che era rimasta fuori dal disco "Tempo e pace": è piaciuta ed è stata inserita. Per quanto riguarda tutta l'operazione legata alla compilation, mi sembra molto bella. Come al solito io sono convinto che bisogna avere delle idee; l'unica forza che c'è rimasta è nelle idee. E quella di andare a Sanremo, con tutta una credibilità che si sono costruiti negli anni, sicuramente non li scredita, anzi si sono dati poi, nella compilation come una sorta di "mezzo", per introdurre tutta un'altra realtà lontana da Sanremo, che esiste e a tutto il bello di cui è capace.

E a proposito di Sanremo, tu come ci sei arrivato nel 2001?
Quel momento me lo ricordo con grande gioia. Suonavo nei club, finché non si è sbloccato qualcosa, per cui improvvisamente un po' di produttori hanno cominciato ad interessarsi a me, così poi attraverso a Daniele e Riccardo Sinigallia all'epoca, mi portarono alla Virgin e iniziò per me un percorso, come la realizzazione di un sogno. Perché quando si è più giovani il tuo sogno è quello di firmare per una casa discografica. Poi il mio grande problema con la Virgin è stato il problema che ha investito tutta l'industria discografica, quindi col licenziamento delle persone che avevano investito su di me, è arrivata altra gente che voleva dare un'impronta diversa alla casa discografica e quindi… Altri magari non lavorano più in ambito musicale, io invece continuo comunque a fare musica.

Ti ho poi ritrovato anche nel progetto di Niccolò Fabi: "Violenza 124".
Niccolò ha avuto questa bellissima idea. Aveva bisogno di fare una cosa diversa e "Violenza 124" ha una genesi del tutto particolare. E'una cellula musicale, che lui ha composto, con un particolare bpm e con due accordi di base, l'ha data a sei artisti diversi per sviluppare quel tema sia sulla rete della velocità e degli accordi, sia poi per una parte libera. Dopo di che lui ha riaperto tutte le interpretazioni in uno studio e ha creato una piccola opera musicale. C'erano dei parametri da rispettare per noi, ma lui dopo ha smontato e rimontato tutto, quindi nell'opera risultano degli abbinamenti inaspettati, tipo io con dei percussionisti piuttosto che con una cantante lirica, così che in questi quaranta minuti di musica si sviluppa una cosa che lui ha creato, mentre nel secondo disco del cofanetto ha poi messo le versioni originali di ognuno. In ogni caso lui ha avuto carta bianca, poteva prendere la batteria di Fabio (Rondanini, dei Calibro 35, Ndr), e fonderla coi Mokadelic, prendere la mia chitarra e farla suonare con il percussionista Ruggero Artale, e ha fatto un lavoro molto bello che è piaciuto a tutti. Certo è un disco poco ortodosso, ma ci sono dei momenti in cui un musicista le cose le fa per sé e io credo che lui avesse bisogno di fare una cosa in ambito musicale che fosse diverso dallo scrivere una canzone, dalla figura del cantautore che alle volte è anche pesante. E con lo stesso spirito ha partecipato anche al Collettivo Angelo Mai, dove oltre al cantautore era presente soprattutto il musicista.

E tu nel tuo disco ti senti più musicista o cantautore?
Credo di aver fatto una buona miscela, perché ho suonato tantissimo in questo disco, tutte le cellule delle canzoni sono nate qui, suonando inizialmente da solo quasi tutto, chitarre, piano, basso… Ed è stato finalmente quello che desideravo fare, con un significato per me potentissimo anche al livello musicale, quindi lo sviluppo, gli accordi, il solo, una chitarra "più dietro", quell'armonia, quel finale. Per me la meraviglia di "La vista concessa" è che è un disco libero, senza nessuna costrizione di sorta.

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L'articolo Roberto Angelini - Roma, 21-02-2009 di Elisabetta De Ruvo è apparso su Rockit.it il 2009-02-24 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • sacredsake 15 anni fa Rispondi

    Bravissimo, lui sì che ha saputo reinventarsi...