Virginiana Miller - Roma, Circolo Degli Artisti, 19-03-2010

Una carriera ventennale alle spalle e ancora tanta voglia di suonare e scrivere canzoni, "per altri quarant'anni", dicono. Una rinascita artistica e non solo, che prende forma in un disco il cui titolo racchiude da solo tutte le speranze e la positività di cui si può essere capaci. Ci siamo fatti raccontare "Il primo lunedì del mondo" in occasione della sua presentazione ufficiale al Circolo degli Artisti: l'intervista di Nur Al Habash.



Ragazzi, son passati ben quattro anni dall'ultimo album, che nel mondo della discografia (e non solo) corrispondono a ere zoologiche. Che avete fatto nel frattempo? Ci avete messo sul serio quattro anni a scrivere "Il primo lunedì del mondo"?
Simone: In realtà ci abbiamo messo due anni, due anni e mezzo circa; già lo scorso anno saremmo stati pronti per uscire, però non è stato facile trovare un'etichetta che ci licenziasse il disco, anche perché nel frattempo Radio Fandango aveva chiuso i battenti e ci siamo dovuti guardare intorno, e l'abbiamo fatto coi nostri tempi, così, un po' rilassati. Poi ci siamo accorti che non era un momento facile per uscire, un po' perché le etichette del mainstream erano occupate a guardare la televisione, un po' perché molte altre etichette indipendenti avevano già altri programmi più legati al paese reale. Noi invece non facciamo parte del paese reale e quindi ci abbiamo messo un po' di più a trovare qualcuno che ci supportasse.

Proprio questa questione, quella dell'odissea per trovare un'etichetta, l'ho trovata particolarmente curiosa: in fin dei conti siete una band affermata, con una carriera ventennale, la critica vi osanna e avete un pubblico granitico e numeroso (o almeno, non più esiguo di altre band che invece pubblicano dischi senza problemi). Sapreste azzardare una risposta?
Antonio: Forse non abbiamo l'abitudine di frequentare gli ambienti che servono per rimanere sempre al centro dell'attenzione nell'ambito della musica italiana. Forse ci sono altre città dov'è molto più semplice rimanere in quel "centro" e noi invece tendiamo un po' a restare sulle nostre, non perché non vogliamo farci conoscere, ma perché ecco abbiamo quest'abitudine, semplicemente. Magari altri che frequentano meglio questi ambienti riescono facilmente a restare in contatto con chi serve.
S: Noi raramente siamo nel posto giusto al momento giusto, ecco, non abbiamo questo talento, e se ci siamo poi magari abbiamo la giacca sbagliata, quindi...

Mi state dicendo che, anche in ambito indipendente, la musica da sola non basta?
S: Per quanto ci riguarda, a noi basta e deve bastare. Continuiamo ad avere la presunzione di pensare che le canzoni devono bastare a se stesse: noi siamo questo, facciamo queste cose, poi chiunque si voglia avvicinare è il benvenuto.
Valerio: Tutti si sono dimostrati estremamente interessati, ma poi avevano altre cose da fare...

Il disco esce quindi per la sarda Zahr Records. Com'è andato l'incontro con loro?
V: Noi sapevamo da tempo che Luca (Zoccheddu, propietario dell'etichetta, NdR) avrebbe dato un rene per produrci; noi in realtà gli abbiamo chiesto molto meno, così è stato contento lui e siamo stati contenti noi, anche se ovviamente prima abbiamo provato a giocare qualche carta più grossa, senza però riuscirci.
S: La cosa vera di cui alla fine siamo contenti è che se hai un'etichetta piccola di cui sei il gruppo di punta, è più facile esser seguiti meglio e con il cuore. Questo sta dando il via ad una collaborazione fruttuosa perché Luca ci sta mettendo tanto del suo; un'etichetta più grande magari userebbe dei canali già consolidati ma che poi spesso risultano inefficaci.

Parliamo del titolo: "Il primo lunedì del mondo" è veramente un bel titolo, anche se alla presentazione dell'album (tenutasi due giorni prima del concerto, al Simposio di S. Lorenzo, NdR) ho sentito che in realtà il titolo che avevate pensato di dargli era tutt'altro: L'ultimo disco dei Virginiana Miller.
S: In verità i due titoli alla fine vogliono dire la stessa cosa: "L'ultimo disco dei Virginiana Miller" era un titolo inteso in senso cronologico, ovvero l'ultimo uscito, non l'ultimo che si farà mai. Sono le due facce della stessa medaglia, un po' come quando capisci che sei arrivato ad un punto nel quale se guardi giù vedi il fondo, se guardi su invece vedi la risalita. Noi abbiamo pensato che in effetti avevamo ancora le energie sufficenti per andare avanti altri quarant'anni perché come sai, c'è questo detto americano che dice: "Wonder boys last for a season, old farts last forever". Noi siamo vecchi scureggioni e dureremo per sempre.

Parlando di novità, sappiamo che c'è una new entry in formazione (e un membro storico che se ne va...)
S:: Sì, c'è Matteo Pastorelli, che ha preso il posto di Marco Casini, che ci ha telefonato cinque minuti fa e immagino anche lo spirito col quale ci ha telefonato... perché ha preso questa decisione di smettere di suonare visto che la moglie aspetta il quarto figlio e lui ne è responsabile (in tutti i sensi), ed era chiaro non fosse più fattibile farlo venire alle prove tre volte alla settimana con quattro pargoli, oltretutto piccoli. Quindi ha preso questa scelta responsabile che credo, anzi sono sicuro, gli sia costata moltissimo e al suo posto è entrato Matteo.
A: Credo che anche a lui gli è costato tantissimo... (si ride, NdR)
S: L'abbiamo scelto per due motivi, il primo perché è un gran chitarrista, secondo noi. Il secondo perché è figo, diciamo la verità.

Parlando sempre di movimenti di formazione, ho notato che in questo disco, ancor più che in "Fuochi Fatui D'Artificio", i fiati di Beppe Scardino sono presentissimi (e ci stanno da Dio). Perché non fate entrare in pianta stabile anche lui?
A: Siamo già troppi, e poi lui è un jazzista che ha una sua vita professionale anche molto lanciata, e abbiamo sempre pensato che questi interventi fossero utili come arrangiamenti però il nostro nucleo sonoro rimane sempre quello di due chitarre, basso tastiera e batteria.

Se dovessi descriverlo con un'immagine, "Fuochi Fatui D'Artificio" era un veliero perso in una tormentata notte di tempesta in cui si incontravano fantasmi, zattere, tsunami e stupri sulla spiaggia (un po' inquietante, a dire il vero). "Il Primo Lunedì del Mondo" invece è un luminoso appartamento con un bel salotto, e voi ci siete seduti sopra con sguardi compiaciuti, come se aveste capito tutto della vita. Vi sentite davvero così fighi?
V: Non s'è capito un cazzo.
S: A parte il nuovo chitarrista, noi non ci sentiamo fighi. Però una cosa vera è che questo è un disco solare.

E quindi il gallo in copertina è da leggere in questo senso?
V: Massì, è una foto che ho fatto io. Il gallo canta quando si fa giorno, è il primo lunedì del mondo e insomma, fatti due conti...!

A proposito del galletto, ho notato che tra i vostri ascoltatori su Facebook è scoppiata la moda: hanno comprato dozzine di questi pupazzetti a forma di gallo dagli ambulanti e li hanno fotografati nei posti più disparati..
S: Sì, si è rivelato un elemento di marketing virale efficace. Abbiamo cercato di comprarne uno stock dai cinesi ma pare le scorte siano tutte già finite, forse sono i nostri fans che si sono dati da fare. Comunque è vero, ci arrivano foto con questo gallo davanti la torre di Pisa, sulla spiaggia, in aereo, davanti le nuvole...

In effetti sarebbe una buona idea per il merchandising ufficiale!
S: Facciamo un appello ai cinesi allora: aridatece i galli!

Torniamo seri, dai. Uno dei motivi per cui vi ho sempre considerato una band fuori dagli schemi, è che in quindici anni e più di carriera non avete mai scritto una canzone d'amore. In questo disco invece, una ce n'è di sicuro, ed è "La risposta". Che è successo?
S: Io credo sia un fatto di pudore.

Sei diventato spudorato?
S: Sì, dopo una certa età forse si diventa più aperti nel manifestare i sentimenti. E' tutto merito del mio nuovo cane, Gus. E di mia moglie, certo.

Un'altra considerazione che mi viene da fare, è che in questo album si smette di guardare al passato (che sia l'infanzia, o la storia e i fatti di cronaca) e si comincia finalmente a parlare del presente e della modernità: c'è Myspace, l'erasmus, le slot machines dei bar...
S: Sì. Perché a me il passato, il vintage e queste cose qui m'hanno rotto i coglioni, non le sopporto più. E' un po' come in "Cento Chiodi", il film di Olmi: idealmente il disco comincia con questi libri inchiodati sul parquet. C'è una realtà intorno che si deve cercare di descrivere senza guardarsi troppo indietro, anche perché mi sono guardato indietro abbastanza. Ora basta.

Si guarda a questa contemporaneità, molto spesso orribile (si parla velatamente di politica, tra le altre cose) senza però nessuna ombra di scoraggiamento, vittimismo o rabbia. C'è un approccio estremamente positivo...
S: Da un punto di vista strettamente personale i testi di questo album sono stati una cura contro la depressione. Siccome la depressione è una forma di vigliaccheria, penso che la cosa che si può trarre in generale dallo spirito con cui sono state scritte queste canzoni è appunto questo, ovvero che non serve piangersi addosso ma, come diceva Modugno, "pigghia nu bastone e tira fora li denti".
A: Per riprendere il discorso della consapevolezza, una cosa che volevo dire è che per questo disco ha contato molto il fatto di aver avuto consapevolezza di chi lo stava aspettando. Abbiamo cominciato a frequentare i social networks e ad avere contatti con la gente che aspettava le canzoni, abbiamo avuto un sacco di attenzioni e anche affetto che ci hanno sostenuto e ci hanno aiutato proprio nella stesura dei pezzi. Su facebook ci scrive moltissima gente, e questo serve a creare un rapporto vero con il pubblico, a rinsaldarlo.
S: Il fatto che chi fruisce le nostre canzoni ci mandi un feedback è una cosa che serve a noi come a loro, è un riconoscersi a vicenda, per cui è una forma di condivisione che fa bene a tutti.

Parlando ancora della "luminosità" di questo disco, trovo che anche la scelta di chiudere con una canzone come "E' la pioggia che va", sia una chiave di lettura ottimista molto chiara, anche se non è un pezzo scritto da voi...
S: Sì, diciamo che abbiamo lanciato una moda, quella di fare cover dei Rokes.
A: Per una volta arriviamo prima dei Baustelle!

Nel disco c'è anche un sacco di religione: abbiamo suggestioni dal Vangelo, angeli, il Papa, l'inferno, una crocifissione e una deposizione, e così via. Come mai tutta questa chiesa in bocca a dei livornesi?
S: Non sono vittima di nessuna conversione, questo per puntualizzarlo. Non sono mai stato ateo ma non sono diventato teocon, come altri ex rockettari, nel punk... però credo che alla fine questo abbia a che fare con la riflessione che si fa sul processo di "produrre" arte: quando si scrive una canzone, o un romanzo, o dipingi, presupponi sempre che ci sia un altro che è il destinatario di questo messaggio. Allora puoi presupporre anche una sorta di destinatario con la d maiuscola che è in grado di cogliere tutto quello che sei riuscito a dire e anche lo sforzo che hai fatto per dirlo. Da un certo punto di vista musica (e l'arte in genere) e religione credo abbiano un'origine comune; la riflessione sull'una comporta anche la riflessione sull'altra.

Termino con una domanda che in fondo è una constatazione: dando un'occhiata alle prime reazioni di pubblico e critica si leggono solo lodi sperticate e dichiarazioni d'amore cosmico. Molti dicono sia il disco che vi consacrerà, voi che ne pensate?
V: Che l'hanno detto già diverse volte!
S: Io sono abbastanza ottimista su questo disco, ma credo anche che ci sia un piccolo merito nostro: tante cose che erano in qualche modo nascoste negli album precedenti in questo sono più esplicite e più chiare, e sarà più facile per chi ascolta trovare degli spazi di condivisione con quello che abbiamo fatto, siamo riusciti ad essere molto più immediati ed aperti.

Insomma non sperate più di diventare ricchi.
V: Ricchi no, potenti si.
S: Mannò, neanche! Non abbiamo mai aspirato al successo, ma abbiamo sempre aspirato alla fama. Avremo la nostra fama.

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L'articolo Virginiana Miller - Roma, Circolo Degli Artisti, 19-03-2010 di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2010-04-06 00:00:00

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