Sarah Stride - In continua trasformazione

Sarah Stride è una cantautrice milanese che nella sua carriera ha unito tutte le sue passioni dalla musica alle arti visive, dal teatro alla performance. Si racconta a Rockit

Abbiamo intervistato Sarah Demagistri, in arte Sarah Stride, la cantautrice milanese attiva da moltissimi anni con album, performance live, video, happening, piece teatrali, per farci raccontare "Schianto", il secondo ep che anticipa l’album previsto per il 2017. 



"Schianto" è molto diverso da tutti i tuoi lavori precedenti, sei tornata decisamente più aggressiva e consapevole. Cosa è cambiato in te in questi anni
?
Sicuramente sono invecchiata!! Scherzi a parte, sono stati anni (e lo sono tutt’ora) di costante messa a fuoco nei quali sono crollate molte delle certezze sulle quali si era sempre poggiato il mio modo di affrontare l’esperienza artistica (come il fatto che le nevrosi e la sofferenza fossero condizioni indispensabili alla creatività o come il pensiero che lo studio e la pratica quotidiana togliessero spontaneità e cose del genere...) ma soprattutto anni in cui mi sono liberata della necessità di compiacere gli altri.
Mi sono sempre sentita “frammentata”, ossessionata dal dover creare qualcosa che potesse racchiudere perfettamente tutte le mie parti, che mi rappresentasse nella mia totalità senza tralasciare la minima sfumatura, fino a quando ho capito che niente di ciò che facciamo ci appartiene, che l’ego vissuto in questo modo è un grosso ostacolo per la creatività e che quello che deve fluire, fluisce se ci si mette nella condizione di ascoltarlo e di rendersi disponibili a lasciarlo passare. Gli antichi greci chiamavano quest’entità incorporea Daimon, ecco in questi anni forse ho iniziato a conoscere un po’ di più il mio e mi sono finalmente conciliata con il fatto di non riuscire a forzarmi in alcuna definizione o particolare scena. Ah, ho smesso di fumare e non voglio più rifarmi il naso.

Teatro, musica, visual art... Come si combinano le diverse espressioni artistiche che ti animano? 
Nel modo più naturale possibile. Per me ogni forma artistica è un contenitore con le pareti molli e a me piace abitare proprio lì, dove finisce una cosa ne comincia un’altra, nel punto esatto in cui due o più realtà si incontrano dando vita a un territorio nuovo e di trasformazione.
In questo senso la musica è il mio luogo di trasformazione prediletto perché è profondamente intrecciata a tutto ciò che mi interessa e mi circonda; scrivere un testo ha a che fare con la letteratura, girare un video ha a che vedere con il cinema, con la pittura e con le arti figurative in genere, fare un concerto significa mescolarsi inevitabilmente con il teatro e con la performance.

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Com'è nata la collaborazione con Kole Laca ed Emanuele Fusari al tuo nuovo album? Come hai lavorato con loro?
Seguo Niki dagli esordi di 2Pigeones e mi hanno sempre molto incuriosita ed entusiasmata il suo gusto compositivo, la sua impronta “balcanica” e l’ecletticità delle sue produzioni principalmente per quanto riguarda l’aspetto ritmico, che riesce a risultare sempre molto fluido nonostante la complessità che lo contraddistingue. Era nell’aria da tempo il fatto che entrambi avessimo voglia di iniziare a collaborare e dopo “Il Figlio di Giove”, il primo brano al quale abbiamo lavorato insieme e che è stato anche il primo singolo presentato, abbiamo individuato immediatamente la medesima direzione e una comunione d’intenti molto chiara fin da subito. Con Manuele invece abbiamo lavorato in un secondo momento, dopo che i brani erano già stati arrangiati. Il suo ascolto fresco e non “viziato” da una certa affezione è stato fondamentale per mettere a fuoco con esattezza l’essenzialità di ogni brano. Manuele ha un gusto molto preciso, molto presente sulle basse e a tratti piuttosto sporco (anche qui tornano gli anni ’60) che si è sposato molto bene con tutto il lavoro di produzione e che ne ha caratterizzato decisamente l’intero suono dell’ep.

Ultimamente gli anni '60 stanno tornando in voga, ma in un momento in cui tutti cercano di rievocarli, tu li riporti in auge sporcandoli e contaminandoli di suoni taglienti e contemporanei. È una bella sfida, come sei arrivata a concepire questo sound?
In realtà credo che la cosa che più rimandi agli anni '60, all’interno di quest’ultimo lavoro, sia la particolare attenzione riservata alla melodia e all’armonia. La ricchezza e l’eleganza degli anni '60 per me risiedono proprio nel fatto che la canzone, nella sua costruzione melodico/armonica quindi nella sua ossatura, fosse l’assoluta protagonista.
Anche nel lavoro con Kole è funzionato così. Le canzoni dovevano reggere al di là dell’arrangiamento e più le idee di produzione diventavano asciutte e cattive più mi sono potuta permettere di lavorare per contrasto a una scrittura molto melodica e complessa armonicamente.

Ti rifai ai grandi nomi di Mina, Rettore, Bertè. Invece tra le contemporanee a chi ti senti più affine musicalmente?
Continuando il discorso sugli anni '60 anche per quanto riguarda la vocalità, trovo che nella musica cantautorale in genere, l’importanza dei testi (che solitamente necessitano di periodi molto lunghi) sia spesso a discapito dell’interpretazione vocale e pare che un certo tipo di phatos vocale non sia molto praticato nella cosiddetta scena indie che privilegia invece un cantato solitamente più dimesso. Io invece ho la necessità di lavorare molto sul modo in cui le cose vengono dette, al di là di virtuosismi sterili e fine a se stessi. In questo senso sto apprezzando molto La Rappresentante di Lista, per la proposta originale e molto densa da tutti questi punti di vista.

"Schianto" ha un’impronta stilistica originale, i toni minimali elettro wave contrastano bene la ricca struttura dei testi, mai banali, scritti a quattro mani con Simona Angioni. Perché hai scelto lei? Cosa ha apportato di diverso e fondamentale nella visione del lavoro? 
Ho conosciuto Simona durante "Panico", uno spettacolo teatrale per il quale lei aveva scritto i testi. Io facevo la zingara e lei raccontava di conigli che piovevano dal cielo, un inizio cui c’era già tutto quello per cui poi ci siamo innamorate artisticamente. Simona è un’esploratrice del sottosuolo, un architetto di mondi immaginari che riesce ad esprimere con estrema chiarezza. La sua presenza è stata fondamentale sia come presenza “altra” nella quale potermi specchiare con molta più lucidità di quando lo possa fare da sola e appunto, per la sua capacità di togliere i fronzoli e andare dritta al cuore delle cose.

Non avete trovato nessuna difficoltà nello scrivere insieme? Mi spieghi come avete lavorato nel concreto?
Abbiamo passato ore e ore a parlare, scremare, pulire, per arrivare ai temi che per noi mi fossero davvero indispensabili e siamo state dei giudici rigorosi nella ricerca di ogni parola che potesse aiutarci ad esprimerli nel modo più chiaro possibile. La cosa stranissima è stata, che dopo aver individuato il tema centrale di ogni brano, la scrittura in sé è stata davvero molto fluida nonostante arrivassimo da esperienze artistiche molto diverse, per cui costruzione melodica e letteraria si sono intrecciate e influenzate a vicenda in un modo che non avevo mai sperimentato e che non credevo possibile.
Giusto per darti un aneddoto, avevamo passato un weekend in campagna con l’intento di chiuderci a scrivere per due giorni e ovviamente in quei due giorni abbiamo solo parlato e non è arrivato nulla di concreto salvo poi tornare a casa e in dieci minuti iniziare e finire un testo sull’opposto esatto di quello di cui avevamo tanto parlato, sdraiate sul pavimento di casa mia per il caldo!

Di cosa sono metafora i barbari, gli alieni, antagonisti che compaiono in più brani?
Senza rifletterci molto, la prima cosa che mi viene da dire è che tutte queste figure rappresentano le nostre zone d’ombra, quelle dalle quali ci sentiamo più minacciati e che facciamo più fatica a riconoscere. Tutto quello che ci circonda è metafora di ciò che ci abita all’interno e credo fermamente che tutte le nostre zone più buie, perturbanti, se comprese e integrate possono diventare i nostri più potenti alleati.

C’è il volo, qualcuno che cerca di ostacolarlo, la caduta, lo schianto, la rinuncia, ma anche la voglia di riscatto. Questo ep dà l’idea che il prossimo album sarà un concept album.
Sì, assolutamente, il tormento presente in questo album non è mai fine a se stesso ma è una via, un passaggio verso qualcosa d’altro. Il concetto sul quale ruota tutto il lavoro può essere molto ampio ma anche molto semplice. Il protagonista assoluto di questo disco è l’uomo. L’uomo nella sua difficoltà di manifestarsi per quello che è, con le sue goffaggini e fragilità, l’uomo che ha perso il contatto con la sua realtà più profonda, l’uomo preda di sé stesso ed invaso dagli altri ma che comunque resiste e tra cadute e schianti riesce ancora a chiedere “Il suo posto ad alta voce”.

Che rapporto hai con Milano, la tua città? Pensi che riesca a offrire l’opportunità di farlo a chi intende vivere d’arte?
Con Milano ho un rapporto molto ambivalente. Sono cresciuta in campagna con dei genitori che per scelta avevano abbandonato la città quindi per me ha rappresentato fin da ragazzina la possibilità di potermi inventare come desideravo e così è stato. Riconosco la bellezza di questa città come fosse una vecchia signora ancora capace di rinnovarsi e di creare connessioni. Negli ultimi anni la proposta culturale è decisamente migliorata ma gli ambienti continuano a rimanere molto separati tra di loro e si continua a soffrire di un certa arroganza e superficialità che mi risulta molto più provinciale della provincia vera e propria.

Mi racconti un aneddoto che riguardi le tue precedenti attività live, che ti vedono al fianco di nomi come quello di Fossati, i La Crus, Finardi ed altri?
Mi ricordo che diversi anni fa stavo facendo una preproduzione di alcuni brani con Howie B. e registrando le voci di uno di questi, un po’ per la tensione di lavorare con un nome così grosso, un po’ perché in studio era presente molta gente, non riuscivo a entrare nel pezzo in modo convincente. Appena Howie si è accorto che non ero perfettamente a mio agio, invece di insistere mi ha portata a bere una birra e fare una passeggiata parlando solo di cazzate. Quando siamo rientrati in studio dopo aver mandato via tutti abbiamo ricominciato a registrare e ovviamente, buona la prima!

 

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L'articolo Sarah Stride - In continua trasformazione di Silvia Cerri è apparso su Rockit.it il 2017-06-23 11:13:00

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