Sick Tamburo - Come raccontare le vite degli altri

Di riformare i Prozac + non se parla ancora. Anche perché i Sick Tamburo sono di nuovo cambiati, sembrano un altro gruppo, quasi voleva uscire con un altro nome. E in questa fase analizzano determinate fobie, cose piccole ma che diventano importantissime. L'intervista di Alice Tiezzi.

I Sick Tamburo raccontano "Senza vergogna", il nuovo album nell'intervista ad Alice Tiezzi
I Sick Tamburo raccontano "Senza vergogna", il nuovo album nell'intervista ad Alice Tiezzi - Sick Tamburo

Il nuovo disco "Senza vergogna" segna un nuovo corso sia a livello di testi che di sound, tant'è che avevano pensato di pubblicarlo sotto un altro nome. Ma poi il corso naturale delle cose ha convinto i Sick Tamburo per primi che tutto quello che è dentro di noi prima o poi emerge, e per l'appunto, non bisogna averne vergogna. In questa intervista di Alice Tiezzi Gian Maria ci racconta quel velo di tristezza che si porta sempre dentro, e come il pensiero libero (dalle convenzioni, dall'educazione, dalle tradizioni) potrebbe renderci più consapevoli e accondiscendenti nei confronti delle nostre manie e fissazioni. E non esclude un ritorno dei Prozac+ in occasione del ventennale del 2016...

Parliamo subito di “Senza Vergogna”, il vostro nuovo lavoro uscito il 3 giugno per La Tempesta. Ormai siete di casa con questa etichetta, anche “Sick Tamburo” del 2009 e “A.I.U.T.O.” del 2011 uscirono per la stessa. E’ quindi ormai un sodalizio forte, giusto?
Sì, sai, a parte che siamo amici da tanto tempo e dopo il primo disco siamo rimasti sempre più o in meno in linea continua con le idee, quindi tutto sommato credo che ormai continueremo così. E quindi perché non continuare con la stessa etichetta, no? Poi siamo anche amici da tanto, non c’è solo una questione di stima, è anche una questione di rapporti ormai avviati. Credo che probabilmente per fermare questa collaborazione dovremmo fare cose talmente diverse, o noi o loro, e non ci troveremmo più insieme, ma è difficile che succeda.

Se non ti dispiace andrei dritta a parlare dei testi del disco, che mi hanno molto colpita. I dieci brani parlano di manie, stranezze e fissazioni con le quali tutti noi, chi più chi meno, ci troviamo faccia a faccia, volenti o nolenti, nella nostra dimensione più intima e privata. Direi che è una cosa che in parte spaventa, destabilizza. Anche lo stesso titolo è già una sorta di dichiarazione d’intenti; spiegami l’idea di questo concept, da dove è venuta e perché.
Infatti il disco ruota attorno all’osservazione di queste manie, fobie, chiamiamole come vogliamo. Fin da piccoli ci hanno insegnato che sono cose brutte, ma in realtà sono le caratteristiche che ci distinguono gli uni dagli altri, sono la nostra bandiera, il nostro più grande pregio, quindi non dobbiamo tenerle nasconste, non bisogna provare vergogna; da qui il titolo del disco, e quelle sono le nostre bellezze, a meno che uno non vada in giro a sparare alla gente, tutte le altre sono cose che non fanno male a nessuno, e ci caratterizzano. E secondo me sono le robe che poi alla fine, uno che ci guarda veramente, fa sì che ci apprezzi davvero. Purtroppo la cultura cattolica che abbiamo ricevuto, che da piccoli ci hanno messo dentro, ovviamente, ci ha insegnato che quelle sono cose brutte, ma chi cazzo l’ha detto che son cose brutte? Chi gliel’ha insegnato a loro? Sono ottime e bisogna vantarsene, e questo è stato un po’ il concetto da cui è partito tutto. Siccome è questo che mi attrae nella gente, a un certo punto ho detto “ma allora quelle che ho io non sono difetti, sono robe buone!” e così è nata l’osservazione. Ma credo che se la gente le prendesse in questo modo, vivrebbe più profondamente la propria esistenza, perché c’è gente che si fa problemi per queste cose…

In queste cose mi ci sono ritrovata molto anche io, che ho spesso una sorta di attrazione verso le stranezze delle altre persone, che mi colpiscono molto, ma non è un argomento facile e per questo mi ha incuriosito. Infatti volevo appunto sapere da dove era nato tutto questo concept.
Credo che sia il meccanismo che hai appena citato. Se a me piacciono le stranezze degli altri, chi ha detto che agli altri non debbano piacere quelle mie? E’ stata l’osservazione di questo e l'essere riuscito a parlarne così apertamente che mi ha aperto un mondo, è come se stessi anche meglio.



Quindi è anche un modo per conoscere una persona no? Altrimenti è come conoscere solo la facciata.
Perfetto, proprio così, esatto.

In molti brani si sente una malinconia di fondo mista a pessimismo, o amarezza se vogliamo. Non so, prendo ad esempio “Prima che sia tardi”, dove si parla di ciò che non c’è, gli amori che ci entrano dentro, le luci giuste, i rumori che ci fanno vibrare. Come se fossero sparite.
Più che amarezza è tristezza, che è una delle cose che mi porto dietro sempre, anche nel sorriso c’è sempre questo filo di tristezza, non so perché. Forse è una mia caratteristica ed è un’altra delle cose che mi attrae della gente, una persona che ha un’ombra di tristezza mi piace di più che una persona che ha solo gioia, anche se dovrebbe essere il contrario, probabilmente perché la sento più vicina o perché sento che ha qualcosa da sistemare. Comunque è vero che in tutte le cose che scrivo c’è un alone di tristezza e non è che decido di farlo, ma alla fine quando rileggo i testi dico “va bè, che triste sta roba!”, ma non in senso cattivo eh, probabilmente è perché ce l’ho dentro. Ma ho anche della gioia eh (ride)! Non voglio dipingermi come l’uomo nero!

In questo lavoro ho notato una forte matrice cantautorale, le liriche arrivano dirette alla pancia di chi ascolta, concise senza fare troppi voli pindarici. Testi sinceri e, passami il termine, crudi. Mi riferisco ad esempio a “Ti amo (solo quando sono solo)” o “Quando bevo”, dove canti “quando bevo mi farei chiunque, more bionde o senza denti,
quando bevo non sento ragioni, l'istinto prende il sopravvento,
mi piace, mi piace”. Immagino sia la via più adatta, quella di parlare senza peli sulla lingua se si decide di trattare certi argomenti che già di per sé rimangono chiusi dentro le nostre teste.
Proprio quei due testi che hai citato, è come se avessi voluto parlare col mio migliore amico senza nessun filtro, è per questo che il termine che hai usato è giusto, non bisogna aver paura di dire cose strane. E’ quello che gli uomini dicono a sé stessi ogni volta, solo che non le dicono in giro, son quelle cose che ti succedono quando sei un po’ fuori controllo e non è neanche una questione di età, perché ti succede a quindici anni, a venti, a quaranta e mi succederà anche quando ne avrò sessanta probabilmente. E’ proprio raccontare quella sensazione in quel momento come se la dicessi a un amico senza paura di fare brutte figure, ed è per quello che è legato a quel filo di senza vergogna.

E che feedback ti aspetti da chi non ha ancora sentito questo disco e gli argomenti che vengono affrontati?
Ma in realtà quando faccio delle cose non mi aspetto mai niente, sono abituato a prendere quello che arriva, ho imparato da tempo che le cose cambiano tutti i giorni, tutti i momenti, tutti i minuti, non ho mai un’aspettativa, ma devo dire che fino a adesso c’è stato un feedback molto positivo, anche più degli altri dischi, si vede che questa roba qui tocca più di quelle di cui abbiamo parlato prima. Forse è come dicevi tu, perché è molto diretta, è una cosa su cui non devi andare a ragionare, è molto cruda e arriva, ma è talmente diretta che uno che deve prenderla, la prende immediatamente. Quando ci sono dei buoni feedback sono contento, quando non ci sono dico “ok, è il gusto di quella persona, non è un problema”. Però fino a adesso è stato molto buono, perché abbiamo preso una direzione diversa dagli altri dischi. Chiaro che si sente che sono i Sick Tamburo, ma sono diversi, sia dal punto di vista dei testi che musicalmente, quindi comunque quando abbiamo deciso di fare questo disco ci siamo detti “chissà che succederà”. Per il momento abbiamo ricevuto molti più apprezzamenti rispetto a chi ha storto il naso, perché ci sarà ovviamente, quando cambi… ma quando cambi e ti fa star bene quello che fai, è giusto farlo e non devi pensare ai risultati. A un certo punto abbiamo anche pensato di pubblicare il disco sotto un altro nome, e non Sick Tamburo, invece poi ci siamo guardati e abbiamo pensato che l’abbiamo fatto noi, ci piace, siamo maturati, anche per il tempo che passa, perché non dovremmo farlo? E l’abbiamo fatto, semplicemente.

Bè, il risultato si sente.
E ti ringrazio… perché comunque anche a noi ha dato questa sensazione, non per essere autoreferenziali, però ci sembra di aver fatto un passo avanti.



Vito che mi parli di cambiamento, mi voglio ricollegare a questo discorso. C’è una novità, a livello di sound, di approccio. Com’è avvenuta questa virata? E’ solo un fatto di tempo, di idee, maturazione, crescita?
Io penso di idee. Eravamo un po’ fermi, poi a un certo punto ho buttato giù un po’ di idee, ma solo due pezzi c’erano già, di cui uno scritto per il disco precedente ma che avevamo tenuto fuori perché ci sembrava un po’ diverso dal resto del disco, tant’è che in questo ci sta meglio. In poco tempo sono venute fuori delle idee diverse, con suoni diversi e soprattutto con testi molto diversi… probabilmente è come dici tu, passa il tempo, cambiano i gusti, impari cose nuove, ti entrano in testa, oppure delle cose che già avevi dentro che spingono e ti dicono “oh Gian Maria, voglio venir fuori io!”

A livello di sound capto ancora la matrice ossessiva dei primi lavori, non è cambiato tutto totalmente.
Allora, il suono è abbastanza diverso, prima la distorsione delle chitarre era assoluta, non potevamo farne a meno, adesso c’è un suono molto meno distorto ma molto più sporco. Inevitabilmente lo stile rimane, però rispetto specialmente al primo disco e almeno metà dell'ultimo, c’è sempre la melodia, che prima usavamo pochissimo. Sto facendo una considerazione proprio tecnico musicale eh, nelle linee vocali c’era praticamente solo ritmo, pochissima melodia, quasi delle idee mono-tono che in quel momento ci piacevano e ci piacciono anche adesso, per carità. Qui invece sono tutti pezzi con una linea melodica, quindi tecnicamente e analiticamente c’è una differenza grossa, ma è chiaro che la cifra stilistica è rimasta, altrimenti saremmo un altro gruppo.

Quali ascolti hanno influenzato il vostro disco? Anche inconsciamente magari.
Devo dirti onestamente, consciamente quasi niente, perché la prima cosa che ho capito quando ho iniziato a far musica un po’ più seriamente, è stata che non dovevo fare cose che mi piacevano e che sentivo, che sennò sarei stato una copia di quello che c’era e sicuramente peggiore, perché se c’è gente che è arrivata prima di me, la fa meglio. Quindi la mia parte conscia non ha mai fruttato niente. E’ chiaro che l’inconscio lavora anche quando tu vuoi, quindi ho fatto dei pezzi e dopo vari ascolti, ho riconosciuto delle cose che ascoltavo magari quindici anni fa, o anche delle cose nuove e quello è il bello. Non ho mai cercato di rifare nulla, ma poi ci ritrovo qualcosa di mescolato. La cosa che mi ha colpito di più è che ho ritrovato dentro le chitarre di un gruppo che io ho ascoltato tantissimo, che sono i Pixies, mescolate a delle cose talmente diverse che è anche difficile accorgersene. E anche questo è nato inconsciamente, anche nei dischi precedenti riconoscevo delle melodie che da piccolo ho sentito nelle pubblicità per esempio, tutto quello che immagazzini dentro di te prima o poi torna fuori. Uno che fa canzoni o altre cose creative, prima o poi le mette dentro sempre.

E che cosa apprezzi invece della musica italiana che è in circolazione adesso?
Andando in giro trovi tante cose buone, anche poco conosciute purtroppo, perché lo spazio è diminuito rispetto a una volta. Io sono un grande amante de Il Teatro Degli Orrori, ma da sempre. Quando sento gruppi poco noti penso “ma cazzo, questi sì che meriterebbero…” e in questo senso è un peccato.

E visto che mi hai citato Il Teatro, il nuovo disco di Capovilla l'hai sentito?
Eh no, non ho avuto ancora tempo, vorrei ascoltarlo in questi giorni, ma tra prove, concerti, siam sempre in giro… tutti i dischi che sono usciti in 'sti giorni devo ancora ascoltarli. Ma tu l’hai sentito?

Sì, è un disco importante. E poi lui è stato a suonare al MI AMI.
Eh giusto! E com’è andata lì?

Molto bene, molto bene direi.
Bene! Sì credo sia il mio gruppo italiano preferito comunque, non voglio passare per un leccaculo ma è così. Non è che lo dico oggi, è perché probabilmente sono più vicino a certe sonorità piuttosto che ad altre.



Tornando ai testi, cantare di tutte queste manie è un modo per esorcizzarle? Pensi sia possibile conoscere una persona in base a tutte queste cose più nascoste?
Allora, se iniziamo a mettere da parte la cultura cattolica che ci distingue in maniera pesantissima, secondo me inizieremmo a vedere le cose in maniera più neutra e questo sarebbe già un passo avanti. Se iniziassimo ad essere più liberi da questo punto di vista, se si cominciasse a non insegnare ai propri figli o ai propri amici che certe cose non si possono fare, altre sì, probabilmente piano piano la gente comincerebbe ad essere più neutrale. Inoltre penso che averne parlato in maniera così esplicita, abbia in qualche modo molto più che esorcizzato la questione, perché prima mi rendevo conto di queste cose, ma non ne ero padrone. Averle scritte me le ha fatte metabolizzare, sono diventato un po’ più consapevole. Non so se sarò così bravo da essere libero di non avere condizionamenti culturali, ma è una sorta di psicanalisi che ti permette, attraverso la parola, di liberartene perché le fai volare nell’aria e non le tieni più dentro. Mi ha fatto star bene averlo fatto, anche se scrivere musica per me è sempre stato terapeutico.

Io credo che sia terapeutico anche ascoltarlo, questo disco. Cioè, per me è stato così.
Questo mi fa piacere, per me che l’ho fatto è chiaro che lo è, ma già sentirlo dire da un’altra persona mi fa un immenso piacere.

Mi ha colpito molto “Se muori tu”. Ti va di raccontarmi qualcosa del brano?
Quel brano è un mix di un paio di storie, c’è dentro una storia di una persona che non c’è più veramente e un’altra parte di una persona che se non ci fosse più, ne morirei. È la sensazione che proverei se mi mancasse una delle persone a cui tengo di più in assoluto, e non è una questione solo di morosi, è una questione di bene, potrebbe essere il mio amico, mio figlio, la mia fidanzata… E’ il pensiero di vedere sparire una di queste persone. Abbastanza esaustivo?

Ma è vero che i Prozac+ torneranno, forse, nel 2016?
Non è vero in assoluto. Nel 2016 ci sarebbe il ventennale della prima uscita. Se deve succedere, è più probabile succeda in quell’anno lì perché avrebbe un senso anche per me, me l’hanno chiesto talmente in tanti… E’ chiaro che succederà solo nel caso trovassi quelle persone che hanno condiviso con me quel viaggio e abbiano piacere a metterle in pista di nuovo.

Ok, torniamo a parlare del presente. “Il fiore per te” è una piccola chicca, una pennellata di colore in mezzo a un mood più cupo. Salta subito all’orecchio la differenza con il resto dei pezzi. Come mai questa differenza così netta?
Quel pezzo è uno di quei due che ti dicevo, era nato un po’ prima del disco ed è un po’ diverso, è una canzone fondamentalmente d’amore, è il pensiero di una persona che, in qualche modo, ha deluso le aspettative di un’altra per cui prova amore, ma probabilmente è un amore diverso da quello che si aspettava la controparte. Devo dirti la verità, ero indeciso se metterla dentro o no, poi l’ho fatta sentire agli amici, anche a quelli che suonano con me e tutti hanno detto “cazzo, non puoi non mettere sto pezzo!”. Effettivamente a livello di testo è diverso dal resto del disco.

E del video che mi dici? C’è questa ballerina che volteggia in un campo, un bambino che corre, Davide Toffolo dei TARM, una signora anziana a cui scappa una lacrima guardando una vecchia foto del suo amore (frame molto toccante, tra l’altro) e poi tu. C’è un senso di irrisolto finale, quando la ballerina sta per colpirti con l’arco, ma non sappiamo poi cosa accade. Cosa volevate comunicare con questo video?
L’idea è del regista Stefano Poletti, che ha fatto con noi tutti i video, tranne uno credo, e ci siamo sempre trovati bene. Quindi gli ho detto se voleva buttare giù qualche idea. La persona anziana, che tra l’altro è la nonna di Stefano, è la prospettiva della malinconia per aver deluso le attese della persona amata, succede in età avanzata. Lui l’ha voluta vedere da quella visione lì e ci è piaciuta. Dentro c’è Davide perché comunque ci ha cantato.

video frame placeholder

E Toffolo ha disegnato anche la copertina del disco.
Sì, diciamo che per questo disco ci è stato molto vicino e mi ha dato anche una spinta, anche aver cantato tutti i brani io invece che dividerli con Elisabetta, come nell’altro disco, poteva sembrare un passo pericoloso. Invece è stata Elisabetta la prima a dire che noi siamo questo, che c’è una crescita e che dovevamo farlo.

Eh, mi hai preceduto perché appunto volevo chiederti di questa scelta di cantare in tutti i brani.
Non è stata una scelta, i brani son venuti così. Quando butto giù i brani, comunque la prima stesura di voce la canto sempre io, quando faccio i brani pensando ad Elisabetta, penso alle sue caratteristiche, il suo grande senso ritmico ma anche la poca melodia. Nel primo disco c’è, secondo noi, una resa abbastanza pesante. In questo disco poi le idee son venute fuori così, senza pensare a cosa sarebbe successo, e quindi, siccome c’è molta più melodia, i pezzi venivano meglio cantanti da me piuttosto che da lei. Io, se dovessi cantare i pezzi che ha cantato lei nel primo disco, non ci riuscirei mai e non mi piacerebbe nemmeno, non è il mio modo di cantare. E’ proprio per questo che inizialmente avevo il dubbio di dover tenere sta roba per un altro progetto, non per i Sick Tamburo, mentre lei è stata la prima a dire che saremmo stati pazzi a non fare questo disco, c’è un cambio abbastanza consistente e chi non lo vede, non lo vuol vedere. Lei, per esempio, in questo disco ha ripreso il suo strumento originale, che è il basso, poi noi siamo un gruppo mascherato che si permette di cambiare gli strumenti e Davide è stato un grosso contributo in questa direzione, e ci ha detto che potevamo fare quello che volevamo. E’ stata quindi una direzione, non una scelta. E chissà il prossimo disco quale direzione prenderà.

Parliamo del tour. Come stanno andando le date?
Abbiamo iniziato da tre settimane. I primi quattro concerti erano tutti senza disco fuori e avevamo paura, perché uscire dopo tanto tempo senza disco… diciamo che nei primi due concerti abbiamo sbagliato la scaletta, abbiamo fatto tutto il disco nuovo e pochi brani vecchi e la gente che non aveva chiaramente ascoltato il disco nuovo, era lì che ascoltava ma interagiva meno del solito. Poi già al terzo concerto abbiamo mescolato, metà pezzi nuovi e metà presi dai dischi vecchi e tutto ha funzionato meglio, anche per noi. Adesso che il disco è fuori comunque ci possiamo permettere di fare anche qualche pezzo nuovo in più, ma noi ci divertiamo, ogni tanto siamo in cinque sul palco, ogni tanto in quattro…

E riguardo al pubblico che mi dici? E’ sempre quello fedele a voi da tempo, è cambiato, è mutato con voi? Che facce trovate quando andate a suonare?
Ho visto delle facce conosciute e anche delle facce mai viste, è quello che è sempre successo. Forse è un po’ troppo presto per capire.
 

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L'articolo Sick Tamburo - Come raccontare le vite degli altri di Alice Tiezzi è apparso su Rockit.it il 2014-06-16 00:00:00

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