Quante cose al mondo puoi fare: intervista a Sodaboi

Vestiti Tacchini, al bar solo cedrata Tassoni, scrivere con le emoticon ma sempre con la testa al rap: abbiamo intervistato Sodaboi.

15/06/2018 - 11:30 Scritto da Marco Beltramelli

Vestiti Tacchini, al bar solo cedrata Tassoni, scrivere con le emoticon ma sempre con la testa al rap: abbiamo intervistato Sodaboi, il rapper delle cose normali.

Con questa maglietta del Barça non iniziamo bene però! Tu sei della provincia di Livorno, tifi per la squadra della tua città?
No, tifo Fiorentina. Fino al 2007/2008 il calcio mi garbava parecchio, conoscevo tutte le rose. Ho sempre fatto la collezione delle figurine Panini, i miei amici di provincia sono tutti mezzi calciatori\mezzi tifosi col daspo. Dopo la partita in Champions League contro il Bayern in cui fummo eliminati ingiustamente, mi sono chiuso totalmente verso questo sport. Ero appassionato della Fiorentina di Mutu, Toni, Prandelli, ci aveva fatto sognare. Ora invece mi limito ad indossare le magliette delle squadre.

Dopo questo piccolo preambolo calcistico cominciamo con le domande vere. Quindi il nome deriva dalla città e non dalla bevanda?
Io vengo da Rosignano Solvay, la frazione di Rosignano Marittimo che prende il nome dalla famosa industria chimica. Il paese delle Hawaii di Livorno, nel nostro slang, tutti i ragazzi della città si chiamano sodaboi o sodagirl. Molti aspetti sono coinvolti in questo nome: volevo un’immagine cool ma tagliente, che fosse legata alla mia zona e quindi alla Toscana e alla sua ironia pungente, ma allo stesso tempo volevo un nome su cui si potesse costruire un immaginario legato alla provincia in generale. La soda è una metafora di freschezza.

Il cambio di nome ha rappresentato qualcosa?
Quando ho suonato al MI AMI con il nome Crema avevo 17 anni, ero troppo piccolo e non sapevo ancora cosa volessi realizzare. Sodaboi è il mio vero progetto personale, quello che è partito dal momento in cui ho preso coscienza. Può far ridere ma non è stato un dettaglio di poco conto, quando scrivevo "crema" su Google uscivano sempre troppi risultati: crema pasticcera, crema Chantilly... Non mi garbava, avevo semplicemente bisogno di un nome più riconoscibile. Ho scoperto in seguito che esiste anche un altro Soda Boy (scritto staccato e con la y) in America, ma sti cazzi, in Italia ci sono io.

La cedrata però è poi entrata a far parte a tutti gli effetti del tuo immaginario estetico, così come i capi della Tacchini. Ti sei brandizzato molto bene contrapponendoti alle vistose dinamiche kitsch che dominano nella trap, anche questo è stato un fattore di distinzione. La Tassoni è un po’ la tua codeina?
Avoglia! Quel che mi fa ridere che molta gente adesso mi dica che mi sono costruito un personaggio “per bene”, legato a questi brand. Non ho un contratto con loro! Ho sempre vestito Tacchini e ho sempre bevuto cedrata, è ciò che mi garba e che quindi finisce nelle mie canzoni alimentando il mio immaginario estetico. Non mi sono piegato alle mode, ho raccontato di cose a cui sono legato. Sono dettagli di cui in realtà vado molto fiero perché contraddistinguono esclusivamente la nostra “crew” differenziandoci dal movimento trap e rap in generale. Poi la cedrata Tassoni negli ultimi anni è stata inserita, non so per quale motivo, di diritto in una lista di elementi vaporwave, ma poca importa, a me fa piacere si stia notando un mio allontanamento da cliché classici del rapper. La cedrata Tassoni sta al Soda Golf Club come il Latte+ sta ai drughi di Arancia Meccanica e la codeina a Sferaebbasta.

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Rockit.it ti aveva già segnalato tra i migliori rapper emergenti in un articolo di qualche anno fa includendoti in una lista insieme a Tedua e Rkomi, due nomi che, ormai, hanno avuto un grande successo. Loro hanno spianato la strada al movimento trap, tu che strada stai provando a spianare?
Sicuramente non è trap e sicuramente non è indie, è difficile collocare la mia musica perché a me piacciono artisti dalle matrici completamente diverse. L’approccio artistico alla Kanye West che ad ogni disco stravolge la sua produzione mi garba parecchio. Secondo me anche in Italia molti artisti hanno lavorato nella stessa maniera, Dargen D’Amico, Fabri Fibra, ma anche Guè Pequeno e Marracash che, pur mantenendo la loro attitudine street, sono sempre riusciti a calarsi su sonorità e wave differenti. Io sono un rapper italiano, nel senso che quando penso alle mie canzoni mi riferisco alla mia provincia, i miei riferimenti nei video vengono dal cinema italiano, ci vestiamo con roba italiana che ci garba. Ascoltiamo anche tutte le correnti estere, ma i sample a cui ci inspiriamo sono quasi sempre italiani, di artisti rap e indie. Credo che comunque il rap in Italia abbia una storia differente dagli altri paesi quindi, se mi permetti, se dovessi trovare un’etichetta per la mia musica direi rap italiano.

In Italia esistono due grandi correnti rap, quella classica che si rifà alla strada e quella probabilmente un po’ più moderna, che strizza l’occhio ai cantautori ed è stata accettata soprattutto negli ambienti indie. In diverse occasioni mi sono imbattuto in questa opinione, mancava un rapper che parlasse dei ragazzi normali, che vanno all’università, che magari abitano fuori sede, che hanno problemi comuni. Nell’accezione più positiva di questo termine, tu sei il primo rapper “normie” d’Italia, sei arrivato per colmare questo vuoto?
Io non mi sento di appartenere totalmente al mondo indie per un motivo ben preciso, hanno tutti 15 anni in più di me eppure si vestono malissimo, cioè, non si possono proprio guardare. Così come del resto non ho mai preso in mano una pistola ma solamente un paio di “pattoni” nelle risse di provincia. A dir la verità ascolto anche un sacco di techno e la ragione è ben valida, in provincia per beccare anche solo “du fiche” devi andare a ballare. Questa cosa mi è rimasta nel corso degli anni. Per quanto riguarda il rap questa mancanza la sentivamo in prima persona noi che non siamo solamente addetti ai lavori ma siamo innanzi tutto degli ascoltatori appassionati. La stragrande maggioranza dei rapper italiani si divide in queste due grandi categorie, gli intellettuali che si piangono addosso da una parte ed i wannabe gansta dall’altra. Io non mi sento rispecchiato in nessuno delle due. Non voglio cambiare il mondo con le mie canzoni e non mi sento un letterato. Sono un ragazzo che va all’università, a cui piacciono le tipe, che si fuma le canne come a tutti gli altri ragazzi. Ogni tanto si prende il due di picche ogni tanto va fuori dopo due tiri ma continua a fumare. Questo sono io, e lo racconto nelle mie canzoni. Rapper normie è una definizione carina che, se ben contestualizzata, può risultare azzeccata, io sono un ragazzo normale, normie rispecchia la vita che faccio ma non sarò mai un rapper normie, un cantante nella norma. Musicalmente dovrò dimostrare che spacco più di tutti. In questa senso, le mie canzoni stanno andando verso una direzione sempre più musicale, vorrei arrivare al numero più ampio di persone possibile continuando a raccontare me stesso.

 

E il Soda Golf Club cos’è, una crew, un collettivo?
Se ti stavi chiedendo il perché del nome è stato semplicemente scelto perché suonava bene. Non è una crew nel vero senso del termine e neanche un collettivo, è più una squadra di ragazzi under 25 sparsi per tutta Italia di cui gli unici membri esposti sono 3 ma che comprende anche producer, registi, grafici… Tra l’altro io, Moebius e Drax siamo tre rapper totalmente diversi, fattore che ci stimola parecchio. Sicuramente, ci saranno delle collaborazioni insieme, ma per ora ci stiamo concentrando a spingere all’interno del club i nostri progetti solisti per delinearne chiaramente la traiettoria artistica. Fondamentalmente siamo amici. Siamo un team di amici che spingono tutti nella stessa direzione.

Io pensavo prendeste ispirazione da Tyler the creator e dalla Odd Future.
Lo posso inserire senza dubbi nelle mie influenze. Ho anche comprato le Golf Le Fleur di recente tanto ci sono sotto. Però è un discorso che va inquadrato. Non possiamo dire di aver riproposto gli stessi concetti della Odd Future perché loro toccano temi molto legati alla cultura nera in America che in Italia non avrebbero senso, non sarebbero riproponibili tali e quali e dovrebbero necessariamente essere rielaborati con altri argomenti. Difatti le mie influenze generali rimangono principalmente rapper italiani. Ma come immaginario estetico certamente la crew da cui prendo ispirazione, anche se sono totalmente ad un altro livello, ed essere paragonati alla Odd Future italiana per me rimane un onore. Alla fine gran parte della scena trap, come quella genovese, ha preso ispirazione dai PnL, dalla wave francese e l’ha poi adattata ad un tipo di scrittura che gli è propria, italiana e anche locale. Nel nostro piccolo anche noi abbiamo fatto lo stesso tipo di operazione con le sonorità di Los Angeles. L.A. sta sulla costa sinistra dell’America, come Livorno. Siamo la west coast italiana.

La scelta strategica della maggior parte dei rapper al giorno d’oggi è quella di uscire con un singolo ben curato con video. Anche tu hai sempre utilizzato questa strategia, come mai hai finalmente sentito il bisogno di pubblicare un lavoro ufficiale?
Io dovrò fare un album prima o poi. E sarà il mio lavoro più bello prodotto fino a quel momento perché, sino al seguente, sarà quello che mi caratterizzerà agli occhi della stampa, dei fan e degli altri rapper. Non ho ancora fatto uscire un disco perché è una questione a cui tengo troppo, voglio che sia curato nei minimi dettagli, non è ancora il momento. Ciò nonostante era importante uscire con qualcosa di ufficiale, per il discorso live ma soprattutto per dare una direzione definitiva al progetto. I pezzi usciti prima dell’ep erano molto più liberi, Dietro l’ep c’è un concept sonoro, un concept nei video e, per chi mi volesse ascoltare, credo sia più piacevole ed anche significativo sentirsi sei tracce di fila piuttosto che andare a cercare dei video sparsi su youtube. Non credo smetterò mai di fare dischi, cambierò le strategie di comunicazione, organizzerò qualcosa di folle legato alla promozione degli album ma non credo smetterò mai di comporre dei lavori a prescindere dalle vendite. Non si venderanno più mln di copie come una volta ma il mercato discografico in Italia è tutt’altro che morto, guarda Ghali, Carl Brave, Calcutta. I ragazzini fanno ancora le file per gli instore. Magari diventerò famoso per un pezzo stupido, magari per un featuring con qualcuno d' importante, ma Io sono cresciuto così, ascoltando i dischi dall’inizio alla fine, con intro, outro e traccia fantasma. In fondo Dico sempre che vorrei essere un nuovo vecchio rapper.

E questa fissa per le emoticon?
La skit di gelati è un vocale che ho veramente mandato ad un mio amico. L’emoticon, nel mio caso, sono una metafora dell’apertura mentale, di leggerezza. Dai piccoli si ha la tendenza a essere critici verso tutto, ad essere snob a prescindere, crescendo forse s'impara a dare più peso alle cose veramente importanti. E la realtà è che mandare le emoticon al giorno d’oggi mi fa molto ridere. Se ci pensi bene delle volte un'emoticon risponde meglio ad un messaggio che 100 parole. Io scrivo per i ragazzi della mia età e le emoticon sono un mezzo espressivo della nostra generazione.

I tuoi video sono molto curati, la spiaggia di Rosignano appaiono molte volte anche nei film di Virzì, noto regista livornese…
Diciamo che il cinema italiano ha influito molto sulla mia musica, non solo nei video. Virzì, infatti, lo conosco personalmente, a 12 anni ho recitato in un suo film. Non ho in ballo una cosa con lui ma di questo frangente cinematografico non si può ancora parlare in questa intervista. Ti dico solo una cosa, non posso dirti una cosa. Ma ti prometto che ti taggherò nei post scusandomi non appena uscirà.

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L'articolo Quante cose al mondo puoi fare: intervista a Sodaboi di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2018-06-15 11:30:00

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