Francesco Tricarico - Telefonica, 15-05-2008

(Francesco Tricarico - Foto da internet)

Marco Villa ha incontrato telefonicamente Francesco Tricarico per un breve scambio di battute. Si parla dell'ultimo "Giglio" (Sony BMG), della sua partecipazione a Sanremo, di tradizione, di metodi di scrittura, di canzoni.



Come ti sei trovato a Sanremo?
Sanremo è stata un’esperienza strana: è come trovarsi per qualche giorno in un altro mondo. Quindi è stata senz’altro un’esperienza interessante: è un ambiente che ti costringe a fare i conti con il nervosismo, sapendo che tutto quello che succede su quel palco diventa argomento di conversazione per milioni di persone. È stato davvero stimolante.

Ma quindi è davvero un baraccone in cui ci si perde?
Non lo definirei un baraccone. Forse in parte lo è, ma senz’altro meno di quanto si possa pensare. In fondo è il tempio della musica italiana: intorno c’è tanto interesse, tanta curiosità. È un palco importantissimo per la storia della canzone. Quindi c’è tanta emozione: bisogna superarla e vincerla, perchè è un’esperienza con cui credo ci si debba confrontare.

Il festival è stato emblematico del fatto che molte volte si parla di te più per una sorta di essenza aliena che per il tuo lavoro artistico. Questa cosa ti ha infastidito?
Per me l’unica cosa che contasse era andare lì, cantare il mio pezzo e farlo conoscere. Sono salito sul palco solo con questa idea, senza badare al resto. E il resto in fondo è spettacolo: è giusto che ci sia e va bene così. Sarebbe stupido andare a Sanremo e pensare che si parli solo di musica. Non sarebbe Sanremo.

Nei tuoi pezzi, e in particolare in quelli dell’ultimo album, è evidente l’importanza che assegni al tema dell’identità.
A dire il vero, quando scrivo non sono consapevole dei temi che tratto, lo scopro dopo. Senza dubbio il tema dell’identità c’è. Del resto è importante capire se stessi, la propria interiorità: partire da lì per conoscere il mondo fuori e dentro di sé. Credo sia fondamentale. E credo che chi scrive non possa fare a meno di confrontarsi con la propria personalità.

Ai tuoi esordi avevi dichiarato che non avresti voluto fare album, ma solo singoli. Poi sei tornato sui tuoi passi: oggi come nascono i tuoi dischi? Hai un approccio globale o continui a pensarli come una semplice raccolta di pezzi?
L’approccio al disco è stato complesso, più difficoltoso rispetto agli album precedenti. Credo sia impossibile parlare in generale del modo con cui si può affrontare un lavoro articolato come la realizzazione di un disco. Di sicuro non penso a quello che devo fare come a un concept, poi può succedere che ci sia una certa unità di fondo. Per quanto riguarda “Giglio”, posso solo dire che penso sia andata davvero bene: tenevo a questo album in modo particolare, e sento che è uscito qualcosa di importante.

Ora c’è il live: hai intenzione di organizzare uno spettacolo particolare?
Per prima cosa spero di riuscire a fare tante date, ho davvero voglia di salire sul palco giorno dopo giorno, di stancarmi. I pezzi saranno tutti suonati dal vivo: qualcosa necessariamente cambierà, ma cercheremo comunque di avere un suono, una resa che siano il più possibile vicini a quelli del disco. Percepisco intorno a me una certa curiosità e attesa, a quanto pare in molti hanno voglia di vederci suonare. Spero che questa sensazione rimanga tale e che il tour vada bene. Che si diverta il pubblico, e anche noi.

Hai un metodo di scrittura?
Non ho un metodo. Ogni cosa che si fa ha un percorso, che cambia continuamente. A volte è in un modo, a volte in un altro. Dipende, e dipende da tante cose: dal pezzo a cui stai lavorando, dal clima che respiri, dalla tua situazione emotiva in quel periodo.

Hai prestato a Celentano “La situazione non è buona”, come è nata questa collaborazione?
È stata un’esperienza bellissima, una grande soddisfazione sotto ogni punto di vista. Un riconoscimento al mio lavoro e alla mia carriera, ma anche un’occasione per conoscere un pezzo di storia della musica italiana. Celentano è una persona eccezionale, un uomo libero pieno di doti e capacità. Un personaggio davvero unico, importante. La canzone l’abbiamo proposta noi: è stata ascoltata, è piaciuta ed è stata accettata.

In Italia il surreale ha una tradizione importante, che annovera nomi come Jannacci o Rino Gaetano e che attraversa gli anni. Ti senti parte di questa storia?
Non so se mi sento all’interno di una tradizione. Forse sì, ma in realtà non so nemmeno se mi interessa. Senz’altro sono inserito in una cultura e in una storia: è inevitabile. Appartengo a un mondo e a uno spirito, in un contesto in cui tutto influenza tutto. Poi in realtà nei miei pezzi il surreale c’è e non c’è, dipende da come li leggi. Dipende dalla testa e dalla storia di chi li ascolta. Se è per questo, puoi trovarci di tutto. Comunque, tornando al discorso della tradizione, credo di non ritrovarmi da nessuna parte. No, direi proprio di no.

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L'articolo Francesco Tricarico - Telefonica, 15-05-2008 di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2008-06-25 00:00:00

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