Daniele Silvestri - Telefonica, 29-07-2008

(Daniele Silvestri - Foto da internet)

Il giovane Silvestri arriva ai quaranta, celebrati con un best dagli svariati bonus video. Momento ideale per fare il punto della situazione su quello che lo circonda. Megafoni, monetine, bombe e generazioni. L’intervista di Marco Villa.



Prima il live, poi il best: siamo a un punto cruciale della carriera, la certificazione formale che ormai non è proprio più il caso di trattarti come “uno-dei-nuovi-cantautori-italiani”. Eppure molta stampa continua a considerare in questo modo la tua generazione di artisti (penso anche a Gazzè, ad esempio). Come vivi questa situazione paradossale?
Mi fa sorridere, credo sia la spia del peso della generazione precedente, non tanto della nostra generazione. Parlo dei grandi classici della canzone italiana, che sono tali da 40 anni per i loro grandi meriti, per la loro forza e bravura. Ancora oggi hanno un peso molto forte e chi scrive o commenta ne risente quando deve parlare di chi, come me, fa ormai parte di una sorta di generazione di mezzo tra i mostri sacri e il nuovo che avanza. Quindi non mi dà particolarmente fastidio questo atteggiamento... sarà che mi ci attacco per non sentirmi vecchio.

Ma la parola cantautore la si può usare ancora per questa generazione di mezzo di cui parli?
Il periodo dei cantautori con la C maiuscola è finito, semplicemente perchè è finito il contesto in cui è nato e si è sviluppato. Oggi non può essere applicato con lo stesso significato senza sentire uno stridore, perchè io e altri abbiamo una storia diversa. Il termine può andare bene se lo si lega più semplicemente alla musica d’autore, quindi a una grande importanza dedicata alla scrittura e in particolare al testo. Però a quel punto bisogna usarlo per definire non solo il cantautore che nasce e cresce da solo, ma anche molti gruppi.

Negli ultimi mesi la scena cantautorale sembra decisamente rifiorita: segui i nuovi autori? Trovi qualcuno particolarmente interessante?
A dire il vero seguo di più quelli della mia età, ad esempio Capossela o Caparezza, molto distanti tra loro, ma di qualità straordinaria. Poi apprezzo molto quello che fanno gli Otto Ohm, Andrea Leuzzi (voce e autore del gruppo, Ndr) è un grande cantautore, anomalo, difficile da etichettare. Ce ne sono tanti, e su fronti molto diversi tra loro. Credo che il ricambio generazionale ci sia stato e credo siano maturi i tempi perchè escano individualità forti, non solo delle belle correnti divertenti e stimolanti. E poi noi della generazione intermedia, penso alla Consoli, a Fabi, a Bersani, dai... anche noi non siamo malaccio.

Veniamo al disco. “Il pozzo dei desideri” è diventata “Monetine”, con l’abolizione del ritornello che dava il titolo al pezzo vecchio. Come mai questa scelta?
È il caso più evidente, ma non l’unico, anche “Dove sei” e “Idiota” hanno avuto una bella variazione. Nel caso di “Monetine” avevo un problema con quel pezzo e lo volevo risolvere. Non mi era mai piaciuta fino in fondo, dal vivo non la facevo mai, ma sentivo che qualcosa di buono c’era. Quello che non mi convinceva non erano tanto le musiche, o l’arrangiamento o il mondo sonoro dell’intero pezzo, quanto proprio il passaggio del ritornello. L’ho tolto perchè secondo me impacchianiva un po’ la canzone, non solo per il testo, ma anche per quel preciso frammento di musiche e arrangiamenti. Ci ho messo dieci anni a capire quale fosse il nocciolo della questione, ma ce l’ho fatta e ho sfruttato l’occasione del best per fare una nuova versione. Al testo tenevo molto, e mi sembrava giusto farlo uscire. Il nuovo arrangiamento è una cosa in più, che segue gli stimoli del momento.

De Gregori recentemente ha detto che bisogna prendere atto che la versione in studio non è la migliore possibile, ma una tra le tante possibili. Sono molti i pezzi che cambieresti? Cosa invece, a distanza di tempo, ritieni ancora abbia la forma giusta?
Per fortuna sono soddisfatto della maggior parte delle registrazioni che ho fatto. Questo non vuol dire che siano intoccabili, perchè se li riprendo in mano può sempre uscire una strada nuova, magari da usare nei live. Registrare un pezzo è come scattare una fotografia. Senz’altro può essere brutta, ma anche se è bella può continuare a cambiare ogni sera che la suoni. Però se la foto rappresenta davvero un bel mondo, se ha dei colori che ti sembrano quelli giusti, allora puoi scegliere di tenere sempre quella e di non ritoccarla. Per quanto mi riguarda, nella maggior parte dei casi è così, quindi non sento spesso la necessità di rivisitarle. Poi ci sono pezzi che sai già che non potranno più venire così bene: penso ad esempio ad “Aria”, che trovo particolarmente fortunata sotto ogni punto di vista, scrittura, arrangiamento ed esecuzione. È uscita così come la si sente: semplice e fortunata, anche se in realtà il risultato finale non è poi così semplice.

Dal best ho avvertito in particolare l’assenza di due brani pesanti come “Voglia di gridare” e “La bomba”.
La scelta non poteva essere assoluta ed è avvenuta anche per accostamenti tra i singoli pezzi. In realtà credo che entrambi siano presenti come video o registrazioni live nella versione in DVD. Sinceramente, poi, in “Voglia di gridare” avverto una certa pesantezza nell’arrangiamento e l’inizio rappato è acerbo, quasi adolescenziale. Insomma, non proprio una cosa da fare ascoltare.

La figura donchisciottesca dell’“Uomo col megafono” è ancora molto forte a distanza di oltre dieci anni dalla sua nascita. Oggi, in Italia, chi grida dentro quel megafono?
Non è facilissimo rispondere. “L’uomo col megafono” è un pezzo che sto suonando dal vivo dopo molto tempo in cui non l’ho fatto. Ho ricominciato a cantarlo anche se senz’altro si avverte l’anacronismo della figura. Ho scritto questa canzone 15 anni fa, durante gli anni della Pantera e già allora era anacronistico. Oggi forse è ancora più chiaro come i mezzi di comunicazione più diffusi e potenti (ovvero l’esatto opposto di un megafono che raggiunge al massimo i cinquanta metri), abbiano dato l’illusione di una maggiore realtà e immediatezza, ma è anche altrettanto chiaro che possono essere manipolati e possono creare una vera e propria abitudine alla menzogna. Il megafono non funziona così, e quindi la figura romanticamente e fedelmente raccontata nella canzone diventa simbolica. Oggi nei concerti la suono prima dei bis, per dare una sferzata di energia. Credo che non possa non arrivare un po’ di forza dal modo in cui la suoniamo, citando apertamente “Kashmir” dei Led Zeppelin. È epica e ci sta bene, valorizza una figura che giustamente definisci donchisciottesca, e che quindi è tragica e simbolica. Ed è un simbolo che io stesso riscopro oggi con più significato.

Per quanto mi riguarda, non ho particolarmente apprezzato il tuo ultimo album (“Il latitante”, Sony/BMG, 2007). Dopo cinque anni di assenza mi aspettavo qualcosa di grosso, che potesse essere un passaggio fondamentale nella tua discografia, invece ho avuto la sensazione di un disco di transizione. A mente fredda, qual è il tuo pensiero sul questo disco?
Posso dirti che sono molto più soddisfatto oggi di quando l’ho fatto. È un disco che ha risposto ad esigenze particolari, e che ho dovuto modificare in corsa. Diversamente dalla lavorazione degli album precedenti, questa volta avevo l’ambizione di fare "il" disco e questo mi mandava in crisi. Quindi o scrivevo testi che erano più adatti per dei comizi politici o finivo comunque per prendermi troppo sul serio. Al contrario, l’unica cosa che mi dava piacere era ciò che era privo di significato e che nasceva da un puro divertimento strumentale. Alla fine mi sono deciso e ho seguito questa rotta: quello che ne è uscito è un vero e proprio viaggio musicale. Dal punto di vista dell’esplorazione musicale questo disco mi piace forse più di tutti gli altri. Senza dubbio ho spiazzato chi si aspettava un salto di qualità o una conferma, ma tanti che invece aveva semplicemente voglia di ascoltare un disco e l’hanno fatto per un po’ di volte, mi hanno detto che non riuscivano più a toglierlo dallo stereo.

Domanda d’obbligo è sul futuro: quali sono le prossime mosse?
Non so che risposta darti, e probabilmente non voglio saperlo. Dipende da quanto accadrà nei prossimi mesi. Ormai ho una marea di cose da parte e altre stanno uscendo in questi giorni. Non so neanche se la prossima cosa che farò sarà un disco o uno spettacolo, perchè molte cose che ho scritto sono narrative in senso lato. Insomma, sono piuttosto contento di non saperti rispondere.

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L'articolo Daniele Silvestri - Telefonica, 29-07-2008 di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2008-09-03 00:00:00

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