A Classic Education - via Chat, 21-04-2009

(Quindi, di Ester Grossi)

Lo scorso anno sono stati un fulmine a ciel sereno, "First Ep" è una delle migliori uscite del 2008. In poco Jonathan Clancy e i suoi A Classic Education sono diventati il nostro fiore all'occhiello, soprattutto all'estero. Ora esce per l'inglese Bailiwick Records, "Best Regards", un nuovo sette pollici contenente due canzoni ("Best Regards" e "Rest"). L'intervista è d'obbligo. Di Manfredi Lamartina.



Vi piacciono gli Smashing Pumpkins?
Luca: Solo il doppio.

Jonathan: Sì, quello e "Siamese Dream".

Corgan tempo fa, forse deluso dalle vendite di "Zeitgeist", ha detto che il tempo degli album è finito, e che ormai si possono produrre solo singoli. Siete d'accordo?
L: Non siamo d'accordo, si è persa la pazienza di ascoltare un disco intero.

J: Il supporto dei 7" ci piace, credo che Corgan si riferisca un po' al concetto di canzoni singole, tipo da scaricare via iTunes. Per noi un singolo è un 45 giri.

L: Un singolo non basta a raccontare una storia, un disco spesso sì.

Eppure finora vi siete mossi sulla breve (o brevissima) distanza.
J: Assolutamente sì, però volevamo fotografare i primi momenti della band, la nostra crescita, quasi per noi stessi.

L: Come un disco che sta uscendo pian pianino... è una questione di prospettive. J: Sicuramente un disco per noi sarà un traguardo, vogliamo però fare le cose con calma e per bene al tempo stesso rimanendo attivi come ormai internet richiede.

Le canzoni di questo nuovo lavoro sono un passo in avanti rispetto a "First Ep", per lo meno da un punto di vista di visione e compattezza strumentale.
J: Sono un passo avanti forse perché è più tempo che siamo assieme, sono chiaramente nate dopo un lungo periodo assieme, in sei e non più in tre.

Paul: Sono state registrate dopo un po' di rodaggio dal vivo, a differenza delle altre che sono passate direttamente dal divano alla sala, anzi allo studio.

Quanto conta rodare le canzoni dal vivo prima di registrarle?
P: Ogni volta che le suoni dal vivo capisci se c'è un elemento che ti emoziona, si passa alla forma emozionale dopo quella dell'arrangiamento.

L: A volte è suonandole che capisci dove vanno a parare.

J: Non è sempre necessario, alcune nostre registrazioni ci hanno "insegnato" come poi farle dal vivo. Le registrazioni per esempio di "Wartimes" o "Toi" (la cover di Gilbert Becaud, ricantata in inglese e ribattezzata "You", NdR) sono state quasi delle "scritture", nel senso che registrandole sono diventate canzoni.

L: Da idee sono diventate canzoni.

J: Siamo partiti spesso dal giro di chitarra e dalla voce per aggiungere il resto.

(You, le immagini sono tratte da "Io la conoscevo bene" di Antonio Pietrangeli)

Il sette pollici esce per Bailiwick Records. Come è nata questa collaborazione?
J: Ci hanno cercato. In comune c'è un nostro amico, Jeremy Warmsley, un produttore londinese che ha lavorato anche con un altro gruppo Bailiwick, i Gossamer Albatross, dei ragazzi dell'isola di Guernsey veramente in gamba, ora stanno a Londra.

"First Ep" era autoprodotto. Che tipo di aspettative nutrivate? E che risultati avete ottenuto?
P: Non volevamo nessun tipo di restrizione legata ad una distribuzione ufficiale. Avevamo il desiderio di far trovare il nostro vinile in alcuni scaffali precisi.

Ed è stata una strategia che ha funzionato, in termini economici e di diffusione della vostra musica?
P: Noi siamo contenti.

J: Con le nostre mani il disco è finito nei negozi che adoravamo e i siti che frequentavamo hanno parlato di noi. È stata un'emozione. In termini economici abbiamo praticamente finito tutte le copie. E la cosa ci ha permesso di suonare all'estero e in situazioni che sognavamo anche da semplici fan della musica.

Avete citato l'estero. Com'è andata in America, raccontatemi della vostra partecipazione al Sxsw di Austin?
J: È stata l'esperienza più incredibile fatta assieme, so che può sembrare banale dire così, ma lo pensiamo. Per la prima volta ho avuto l'impressione che tutto questo lavoro sia servito a qualcosa. Abbiamo fatto tre date a New York, due delle quali in locali che sognavamo, il Cake Shop e il Death By Audio, uno squat dove fanno i pedalini omonimi. È stato bello rivedersi sotto alle lucine del Cake shop dopo averle viste sulle teste di Women o altre band su Youtube. Non tutte le date sono andate bene, ma la cosa importante è che quelle chiave, e qua magari è stata fortuna, sono state ottime. Ad Austin abbiamo suonato in un locale che si chiama Rusty Spurs, temevamo molto tutte le altre cose in giro nello stesso orario, ma la data a New York aveva spinto qualche blogger e rivista a parlare di noi e così nella data ufficiale abbiamo suonato davanti ad un pubblico nutrito e attento, carico. La seconda data invece è stata in uno showcase per Music For Listeners, radio di Austin. C'era gente anche per una bella line-up, Spinto Band, Sky Larkin , Hymns e altri. C'era il giorno prima lo showcase della Moshi Moshi. La terza data invece è stata una semi avventura, in bilico fino all'ultimo, ma alla fine ci siam divertiti. Suonavamo con i nostri amici My Sad Captains e c'erano i Fanfarlo, band con cui abbiamo condiviso tour. Quindi abbiamo riso tanto. E poi che cena... la data era nel terrazzo di un ristorante etiope. Il resto è stato vedersi 50 band a testa.

Riguardo ai blog: Banjo Or Freakout ci ha detto in un'intervista che tutta l'attenzione che ha avuto è arrivata grazie ad una segnalazione su Gorilla Vs. Bear. I blog possono realmente creare la popolarità di una band?
J: Più che far diventare popolare possono essere una luce su di te per qualche istante. Insomma, gli appassionati e la gente del settore si può accorgere di te. Si può partire da lì per farsi conoscere ma non è tutto. Credo servano molto per partire, per fare le prime date, i primi contatti con le label… Noi siamo stati abbastanza fortunati ma c'è anche stato molto lavoro dietro... però è stata una soddisfazione ritrovarsi su blog che leggiamo ogni giorno come Brooklyn Vegan, Song By Toad, Torture Garden o Chromewaves.

Ormai Londra è la vostra seconda casa. Sembra quasi che non vi vada di far concerti in Italia.
J: No, è che vogliamo solo provare a sperimentare qualcosa di diverso, è una sfida, uno stimolo per noi. Ci sarà sicuramente il momento per suonare tanto anche in Italia. Non c'è nessuno snobismo nella scelta... adesso, con l'uscita del 7", l'etichetta inglese ci tiene a vederci suonare il più possibile in Uk.

Cosa si impara a suonare all'estero?
J: Mah… bisogna essere sempre pronti a qualsiasi situazione tecnica, che la backline conta fino ad un certo punto. Munirsi sempre delle prese giuste, portarsi qualche soldo per bere e mangiare e a volte pure per l'acqua per il palco, è divertente, anche facile… a volte.

Cos'hanno in più le band straniere rispetto alle nostre, e viceversa?
J: Semplicemente hanno una tradizione musicale e culturale in ambito "rock" che noi non abbiamo. Però chissà, magari un giorno si potrà competere... Noi in Italia abbiamo le migliori scarpe del mondo... dei veri artigiani incredibili... Le band italiane hanno in più il fatto di sapere quanto è difficile competere, quindi, magari, quando arriva o arriverà qualcosa di buono possono gustarselo ancora di più.

Cosa vi trattiene dall'andare a vivere fuori dalla penisola?
J: Lavori ed amori... ma chissà!

Ritorniamo alle canzoni. Qual è l'importanza del dettaglio – inteso come ricerca nell'arrangiamento – nella musica degli Education?
P: Ogni canzone ha una sua storia, ci sono brani in cui il dettaglio ha meno importanza e altri dove invece in maniera naturale si arriva a definire e a discutere di ogni singola sfumatura.

L: Non credo ci sia una conscia ricerca del dettaglio curato, semplicemente siamo persone, singole individualità con le idee abbastanza chiare.

L: Direi comunque che l'emotività è sempre davanti a tutto.

Giulia: Appoggio!

Comunque nei vostri brani c'è un approccio quasi orchestrale che non è molto comune, in ambito italiano quantomeno.
L: L'idea di quali strumenti volevamo nel suono della band c'era.

P: Il resto è frutto di sei persone che suonano.

J: Alla fine guardiamo anche alla canzone.

Cioè è la canzone che vi dice come vuole essere vestita, insomma.
J: Spesso sì... Non è che scriviamo un pezzo pensando: ecco adesso ci vogliono i violini, adesso un organo. Partiamo comunque dalla canzone, dalla voce e poi vediamo.

(Debbie, di Ester Grossi)

Vi fa incazzare il paragone con gli Arcade Fire?
L: Incazzare no, però incomincia a stancare. Nel senso che mi sembra che il nostro percorso sia diverso.

J: Penso anche che per le ambizioni e le esperienze che abbiamo scrivere il pezzo "alla questo" o "alla quello" non possa stimolarci.

Qual è l'errore che fa la critica musicale, allora, secondo voi?
J: Io capisco benissimo, sta nel gioco delle parti dare il riferimento più vicino, ci sono degli archi e quindi si pensa automaticamente a questo, io sono canadese eccetera eccetera.

L: È un accostamento che viene evidenziato molto in Italia, è strano perché all'estero citano spesso altre cose.

J: Ma va bene così... È una band che amiamo, conosciamo pure un paio di loro.

"Stay, son" è ormai un piccolo classico. Pensavate che riuscisse a colpire così tanto?
J: Non lo so, io ero consapevole che fosse una bella canzone, la sera che sono tornato dagli studi di Bombanella con solo un premix ho svegliato Giulia ed ero veramente commosso, ho realizzato che c'era qualcosa di importante ed ero incredulo che in tre partendo dalla stanzetta... insomma non pensavo fosse possibile.

P: Il desiderio è quello di comunicare qualcosa, "Stay, Son" mi ha fatto pensare che stavamo percorrendo la strada giusta.

"Never mistake the tears falling down your cheek". Jonathan, canti questi versi con un tono che è davvero emozionato. Com'è nato quel testo?
J: Ma non so, quella registrazione è stata veramente sentita, perché non sapevamo cosa ne poteva venire fuori. Ho registrato le voce dopo che, per la prima volta su un nostro pezzo, ho sentito gli archi e gli organi, ero veramente emozionato, volevo dare il meglio, mi sentivo come alle prime armi. Il testo è nato nei mesi prima, è un dialogo tra un neonato e una persona che gli vuole bene. Una persone che si rivede piccolo nella culla. Sai, davanti a quelle giostre che si appendono sopra alle culle dei bambini. Insomma... mi ero immaginato questa situazione.

Che differenza c'è tra il Jonathan Clancy dei Settlefish o di His Clancyness e quello degli A Classic Education? Qual è l'approccio mentale e artistico che separa (o unisce) queste realtà?
P: La differenza la fanno le persone con cui collabora, Jonathan è stimolato da persone differenti quindi per forza vengono fuori cose diverse, dai testi al modo di cantare. Poi ci possono essere mille sfumature ma per me deriva da questo.

J: Sono le canzoni che sono diverse. Non riesco ad avere un solo interesse.

L'hype sta uccidendo la musica indipendente? (E peraltro che cos'è l'hype?).
L: E cos'è la musica indipendente?

J: Spiace che ora bisogna fare tutto in fretta, questo sì. Però al tempo stesso penso che anche per il tipo di musica che vogliamo fare l'hype passa e ritorna. Alla fine noi facciamo canzoni.

In che senso bisogna fare tutto di fretta?
J: Nel senso che se non parlano di te per due mesi sei spacciato.

L: Spesso il tempo rende giustizia alle cose.

C'è un antidoto a questa "frenesia" mediatica?
P: Stiamo parlando comunque di cultura, meglio sapere di una band nuova a settimana che delle misure di uno del Grande Fratello.

J: Tanto poi vedremo tra un anno quello che resiste sul nostro giradischi.

Vogliamo fare qualche nome?
J: Proprio rimanendo nel campo delle scoperte da blog, quindi brani singoli, della serie "vedremo poi i dischi" direi Arch M, Nite Jewel, Ancient Crux. Poi spesso tramite blog ci ritroviamo a recuperare vecchi grandi... ora è il momento di Roy Orbison. Ah di cose italiane, il live di Musica Da Cucina è una cosa incredibile, mamma mia… E poi Buzz Aldrin, son contento di vedere una band così a Bologna, spero suonino tanto in giro, son veramente qualcosa di speciale. E poi vorrei che tutti i blog esteri parlassero dei Tunas, sempre!

Com'è stato fare musica al tempo di Cofferati?
L: Sono di Pavullo, con il sindaco Tedeschini non si sta male.

J: Posso confermare, a Pavullo abbiamo perfino suonato in una casa-albergo in pieno centro e nessuno ha rotto le scatole. Figurati a Bologna. Per non incappare in problemi e per fuggire da questa città abbiamo fatto con amici un festival a Guastalla, l'Handmade (la prossima edizione si terrà il primo maggio al The Cleb, NdR). Siamo anche persone sempre propositive e che cercano di far cose. Quindi si va avanti, sappiamo di essere comunque fortunati rispetto ad altre città. Quando manca una cosa cerchiamo di crearla noi, tipo facendo serate in localini, concertini, cose in casa.

P: Non è un problema che deriva solo dall'amministrazione di Cofferati, è da tanto che c'è questo processo. Le amministrazioni qua non credono nella musica.

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L'articolo A Classic Education - via Chat, 21-04-2009 di Manfredi Lamartina è apparso su Rockit.it il 2009-04-27 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • faustiko 15 anni fa Rispondi

    Anche stavolta una bellissima intervista... peccato che la band non abbia risposto su alcuni punti in maniera più "piccante". Però ci sta, dai... mi sembrano dei gentlemen che non si scompongono quando fanno dichiarazioni! :]