Japanese Gum - via Mail, 11-10-2010

I Japanese Gum continuano le loro immersioni sonore, e dopo tanti cambiamenti, esperimenti di genere, e nuovi approcci, possiamo dire che non hanno sbagliato un disco. Cogliamo l'occasione dell'uscita di "End Of Summer e.p." - in free download a partire da fine mese - per intervistarli. Di Gioele Valenti.



Sempre più gruppi italiani approdano a case di produzione estere (a parte i pluri blasonati Uzeda e Jennfer Gentle, penso anche ai Le man avec les lunettes, Giorgio Tuma, per citarne solo alcuni). Raccontateci un po' com'è nato il rapporto con la giapponese Friend Of Mine - frutto di scelta o migrazione di cervelli? - e come funziona con una label così lontana dal vostro raggio d'azione.
Paolo: La scelta di iniziare una collaborazione con la Friend of Mine è stata dettata da entrambi i fattori che dici. E' stata un'opportunità arrivata inaspettatamente da un paese geograficamente e culturalmente così lontano, ma forse più vicino a certi stili musicali che sentiamo nostri. La lontananza continua ad essere però una grossa difficoltà. Mi sembra che il nostro lavoro vada su binari paralleli rispetto ai loro, dal momento che non si occupano del mercato al di fuori del Giappone e dell'Asia. Sicuramente avremmo sperato di trovare anche un'altra etichetta qui in Europa che ci aiutasse a gestire i rapporti con le varie realtà musicali continentali ed implementasse quello che la FOMR sta facendo nella sua regione, ma nessuno s'è fatto vivo.
Davide: L'inizio del rapporto con la Friend Of Mine è stato davvero casuale. Tutto è cominciato quando ci contattarono incuriositi, lo scorso inverno, chiedendoci le motivazioni che ci avevano portato a scegliere il nostro nome e di lì abbiamo iniziato un sempre più fitto scambio di email fino a che, dopo avere ascoltato il premaster del disco, Tsunehiro Sato (A&R dell'etichetta, NdR) ci ha proposto di fare l'uscita con loro. In buona sostanza loro sono state le prime persone a mostrarsi realmente interessate al nostro lavoro, decidendo di occuparsi totalmente della stampa e della pubblicazione. Hanno lavorato benissimo, specialmente nella loro area geografica e credo che, se non altro a livello di precisione e di correttezza, si debba imparare molto da una realtà come la loro.

La vostra etichetta si occupa anche del booking? Insomma, ci andate in Giappone?
P: Friend of Mine sta cercando di organizzare un tour in Giappone, indicativamente previsto per la primavera. Ti assicuro che non è semplice organizzare una cosa del genere, far combaciare le loro disponibiltà con i nostri problemi logistici. A parte questo, per il momento i concerti li troviamo direttamente noi, senza nessun aiuto esterno. Stiamo comunque valutando, in futuro, di appoggiarci a qualcuno che possa seguire il booking per noi. La ricerca dei concerti richiede molto tempo ed un dispendio di energie che forse sarebbe bene canalizzare solo verso la produzione musicale.

Inizialmente il vostro suono presentava delle coordinate più smaccatamente ambient/tronica. E il nuovo disco sembra un'ideale elaborazione dei vostri lavori precedenti, ma con una ancora più potenziata vena shoegaze... frutto di ascolti, ispirazioni, casualità...
P: Il nostro suono è in continuo cambiamento. Sicuramente esiste un'influenza indiretta derivante dall'ascolto massiccio di musica, ma ciò che ci spinge alla composizione e al cambiamento è soprattutto la voglia di evolvere la nostra idea di suono; sondare nuovi panorami, magari non nuovi in senso assoluto, ma per noi ancora inesplorati.
D: Direi che la tua recensione, oltre a lusingarmi per certi accostamenti, mi è sembrata profonda ed azzeccata. Siamo due divoratori onnivori di musica, abbiamo background differenti che poi vanno a convergere in punti impensabili cozzando invece su band che apparentemente dovremmo amare alla follia. Le registrazioni del disco sono durate circa otto mesi e i mixaggi quattro. Questo per dire che in quei quasi due anni trascorsi dall'inizio del lavoro in studio alla sua conclusione, di dischi, sbronze e film ce ne sono stati un sacco e credo che siano tutti punti sui quali potrei dilungarmi all'infinito. Posso solo aggiungere che tra il 2007 e il 2009 ho ascoltato un sacco di dubstep, hip-hop e garage anni 60, ho consumato "Alopecia" di Why? e l'esordio dei Women,  "Cryptograms" dei Deerhunter, "Person Pitch" di Panda Bear e l'omonimo degli High Places. Ho approfondito i Grizzly Bear e i Beach House. Ho avuto un personale ritiro spirituale di due giorni in memoria degli Arab Strap, ho visto cinque volte dal vivo i My Bloody Valentine

Slowdive, Aphex Twin, Port-royal, Slint, Fuck Buttons... ma anche Mercury Rev e certi Cure... Vi va di tirar dentro qualche altro nome?
P: Sono tutti nomi importantissimi, mi fa piacere che vengano accostati a noi. Direi che di nomi potremmo tirarne fuori molti altri. Ma anche solo una manciata, come i My Bloody Valentine, con i quali condividiamo una certa idea di suono, The Jesus & Mary Chain a livello "rock", Boards Of Canada a livello "elettronico". Invece, nonostante lo apprezzi, non mi piace molto l'accostamento ad Aphex Twin, in quanto ci sentiamo più una band che dei produttori di IDM.
D: Ad essere sincero, al di là della sua importanza storica ovvia, Aphex Twin non mi è mai piaciuto un granchè. Sono rimasto colpito leggendo dei riferimenti ai Mercury Rev, gruppo che mi piace parecchio ma che mai mi sarebbe venuto naturale associare a noi.

Siete un duo... c'è uno dei due che potrebbe esser definito lo "scrittore" del progetto? Come funziona in fase compositiva...
D: Tutto funziona in modo molto libero. Sia io che Paolo lavoriamo molto a casa per conto nostro ed alcune volte ci troviamo a comporre insieme. Comunque sempre in dimensione domestica: uno perchè siamo pigri, due perchè non esiste posto migliore che casa propria. Non c'è una reale discrepanza nell'equilibrio delle cose, ci sono pezzi ai quali io non ho praticamente contribuito, altri nei quali vale il discorso inverso. Io sono l'autore dei testi, e curo spesso l'aspetto delle grafiche; Paolo forse è l'elemento "tecnico" del duo, nel senso che contribuisce al 90% degli arrangiamenti e all'editing. A livello strumentale compositivo, direi che non ci sono ruoli prestabiliti.
P: Non credo che i nostri lavori si possano ricondurre all'idea del singolo individuo. Quello che esce fuori è solitamente una somma di sintesi delle nostre idee. Sicuramente io e Davide abbiamo due modi differenti di approcciarci alle canzoni, quindi spesso lavoriamo separatamente nelle fasi iniziali ma non appena riusciamo ad avere un tessuto musicale piu' definito andiamo in studio ci lavoriamo insieme.

Quelli della mia generazione sono cresciuti con l'idea feticistica dell'album. Secondo voi il disco ha ancora importanza?
P: Il disco è sicuramente un bell'oggetto e spero vivamente non passi mai di moda. Però, se dobbiamo parlare della sua importanza oggi, le cose stanno cambiando, anzi sono cambiate e da un po'. Ormai chi compra un disco lo fa per una sorta di collezionismo. Tutti ascoltano mp3, ed in tante case stanno sparendo gli stereo in favore di casse per computer con qualità sempre più elevata; è grazie ad internet che la nostra musica si è potuta propagare in giro. L'unica cosa che non mi piace è che gli album circolino in tracce mp3 separate disgregando cosi l'omogeneità di un disco. Quando mettiamo insieme le canzoni cerchiamo di dare una continuità ai pezzi per cercare di costruire un'architettura d'insieme che viene frantumata in un niente se poi gli ascoltatori fanno play a caso. Forse si dovrà pensare ad un nuovo modo di far fruire la musica, sfruttando quello che c'è di buono nell'utlizzare internet come veicolo.
D: Sono d'accordo con Paolo sulla questione dell' mp3 slegato da un suo contesto originario: un conto è pensare ad un album come ad un raccoglitore dentro cui mettere musica senza alcun criterio d'insieme, una raccolta di singoli per esempio, ma senza i casi estremi del Tim Hecker di turno, come si fa ad apprezzare un disco se non lo si sente nella sua completezza? Spendo almeno il 30% delle mie entrate economiche mensili in dischi, quindi ritengo il supporto ancora fondamentale per molti motivi. Non ho mai amato i jewel case standard, ho sempre prediletto versioni di packaging particolarmente curate. Ma non sono un ipocrita, scarico anche io. Grazie ad internet ho scoperto miriadi di band che altrimenti non avrei conosciuto e che poi non avrei ricomprato in cd. A livello di Japanese Gum ritengo che la rete sia una sorta di benedizione perchè senza di essa e le sue possibilità, non saremmo arrivati ad avere ascoltatori in ogni dove con al stessa facilità che nella nostra città.

E a questo punto è d'obbligo parlare di "End Of Summer" il nuovo ep che sarà in free download a fine mese.
D: "End Of Summer e.p." è fondamentalmente una sorta di giro di boa: i tre pezzi che ne fanno parte non sono recentissimi, risalgono ai tempi di "Hey Folks...", ma abbastanza estranei dal mood del disco. Ci siamo quindi ritrovati ad avere tre composizioni che ritenevamo valide senza però sapere cosa farne: credo che attualmente siano i pezzi che meglio esprimono come ci stiamo evolvendo. Musicalmente tutto è ragionato in base al concetto di loop, cosa che in passato era applicata solo alle ritmiche. I cantati e i testi sono più narrativi e meno free-form. Direi che in definitiva questo e.p. è esattamente ciò che ci serviva per chiudere un ciclo, visto che ora tra l'altro possiamo considerarci a tutti gli effetti un trio con l'ingresso di Giovanni dei CRTVTR alla batteria.

Terminiamo con la vostra citta, Genova: la scena musicale è da sempre molto ricca e variegata - due nomi su tutti, Numero 6 e Port Royal... se vi va, regalatemi qualche istantanea: com'è cambiata la situazione negli ultimi anni...
D: La situazione genovese mi è sempre piaciuta. Roba ce n'è davvero molta, anche troppa forse. Il fatto che vi siano band anche diametralmente opposte a livello di sound, ma comunque di qualità, è certamente un'ottima cosa. I Numero 6 sono una delle poche realtà con cantato in italiano che mi convinca davvero; i Port-Royal oltre ad essere amici, sono davvero una buona band, capace di evolvere il proprio percorso artistico con continuità e bravura. Rispetto a qualche anno fa c'è parecchia gente che si dedica a progetti musicali  "da cameretta", me per primo. Nuove band allo scoperto: i giovanissimi Still Leven come esempio lampante. E poi non va dimenticata la Marsiglia Records, è un pratico esempio di come la scena sia attiva, nutrita e varia.

---
L'articolo Japanese Gum - via Mail, 11-10-2010 di Gioele Valenti è apparso su Rockit.it il 2010-10-11 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia