The Hacienda - via Mail, 17-04-2009

20 anni a testa, un centinaio abbondante di concerti alle spalle, un tour in Inghilterra previsto a maggio, un ep di sei pezzi che è vera freschezza condensata su supporto ottico. I The Hacienda sono quello che mancava: qualcuno che riprendesse in mano l'indie-rock - che se non era morto puzzava come se lo fosse - e lo risuonasse con gusto, energia, voglia di metterci idee nuove. Ester Apa li ha intervistati.



Degli Hacienda sappiamo la media dell'età anagrafica dei suoi componenti che è di 20 anni, che la città d'origine è per tutti Firenze e che siete cresciuti ascoltando i dischi di babbo e mamma: Clash, Smiths e New Order. Cos'altro vi unisce?
Il fatto che babbo e mamma avessero un bel pò di dischi belli è stato un buon punto di partenza senz'altro, ma anche la Premier League. Il calcio estero in generale e la passione per il vintage sotto qualsiasi forma, dai dischi ai vestiti, mettono tutti d'accordo. Nella giornata tipo dell'Hacienda medio non mancano anche videogiochi, video stupidi su Youtube e anche libri, un bel pò di libri, tutti e 5 adoriamo leggere.

Vi formate nel 2003 nel capoluogo toscano. Teatro dell'incontro sono stati i banchi scolastici? I concerti di fine anno nella palestra o nell'auditorium del Liceo?
In principio, nella prima formazione della band che si chiamava con un altro nome, ne faceva parte un nostro amico di Sesto Fiorentino conosciuto alla scena locale come "Fritz" che è stato artefice dell'incontro di noi quattro. Due di noi ovvero William e Francesco sono di Sesto Fiorentino che è leggermente fuori Firenze e all'inizio provavamo in una sala prove da quelle parti, vicino ad un pub chiamato "La Mula". Ecco per noi quel posto è stato una tappa fondamentale perchè lo frequentavamo ogni sera dopo le prove. Io, Leonardo e Andrea invece siamo di Novoli che è una zona periferica centrale di Firenze quindi in un certo senso è stata proprio "La Mula" molto più che i banchi di scuola, il centro gravitazionale attorno a cui si è sviluppato il nostro rapporto.

L'anno dopo incidete il vostro primo demo e nel 2005 vincete il Rockcontest di Firenze che vi porta a suonare fino a Zurigo. Partecipate anche ad Italia Wave Love Festival, Pistoia Blues. Quanta importanza hanno ancora manifestazioni di questo tipo per un gruppo emergente?
Da quando abbiamo iniziato a suonare e fino al 2005 il circuito in cui ci esibivamo era legato ad una cerchia di piccoli posti in Toscana e in particolare Firenze e la campagna locale che offriva alcune situazioni in cui talvolta il contesto poteva essere anche la gara di biglie over 60 ma con gli Hacienda a suonare. Dopo aver vinto il Rockcontest abbiamo calcato i nostri primi grandi palchi suonando ad un pò di Festival e da li si è iniziato a spargere la voce anche tra le persone che magari non erano vicine alla band, gli addetti ai lavori. I Festival in generale e manifestazioni come i concorsi che abbiamo vinto sono le prime vetrine che una band può avere di fronte ad un pubblico più vasto e sono ancora molto importanti ai fini della scena per questo motivo.

La scelta del nome The Hacienda, voluto omaggio ad un famoso club molto in voga negli anni 80, la dice lunga sulla vostra fascinazione verso le sonorità inglesi. Se doveste indicarmi un nome tutelare (musicalmente parlando si intende) che ha fatto scoccare la scintilla di questo innamoramento a chi pensereste?
La scelta del nome legata ad un club di Manchester in realtà mette in evidenza la nostra tendenza anglofila ma per chi non sa che era un famoso club, non suona inglese per niente. Ci piaceva quest'idea inizialmente e anche adesso ci diverte spiegare a chi ce lo chiede che non siamo spagnoli. Fin dai primi tempi diciamo che il brit pop ci ha messi bene in pista ed è stato tutto quel giro di band che più o meno ci ha messo la voglia di suonare e, almeno in partenza, ci ha influenzato maggiormente. Se posso dirti qualche nome che per noi è stato fondamentale, dico certamente gli Smiths e i Jam.

Diverse fanzines britanniche negli ultimi mesi encomiano il vostro progetto musicale. A maggio partirete per un tour in Inghilterra che toccherà città importanti come Manchester, Oldham, Accrington. Immagino sia per voi la quadratura di un cerchio…
Sarà sicuramente una bella prova per noi confrontarsi finalmente con un pubblico che potrebbe essere più rilassato e a suo agio con ciò che facciamo. Nell'aprile del 2008 finimmo su XFM Manchester come una delle 3 bands della settimana e questo ci mette magari in condizione di pensare che potremmo catturare l'attenzione anche all'estero e in particolare in UK.

Nonostante la giovane età, potete contare su un'esperienza live fittissima non solo in Italia ma anche all'estero, pratica non consueta per una band italiana che non ha ancora pubblicato il suo primo long-playing. Quali sono state le principali differenze individuate nel suonare dalle nostre parti e varcare invece i confini nazionali? Le distanze sono così incolmabili?
Il punto secondo me non è legato ad una differenza di pubblico tra l'Italia e l'estero ma alla proporzione della scena di locali e bands che ci può essere in Italia rispetto a Germania, Austria o Francia. All'estero magari essendoci molte piu bands e locali dove suonare, la gente si trova ad un punto in cui il concetto di live diventa un'abitudine culturale e non solo una forma di intrattenimento fine a sè stessa, un sottofondo, come magari succede spesso da queste parti.

Avete avuto il privilegio di dividere il palco con formazioni di rilievo internazionale come: Planet Funk, The Others, The Wombats, Mando Diao, Plasticines, Kill The Young. Di questo bagaglio esperienziale acquisito in così poco tempo cosa ricordate con più piacere?
La cosa bella di suonare come spalla a tante bands di un circuito di respiro internazionale è che ti mette in rapporto diretto con tante persone già nell'ambiente da molto più tempo di te, facendoti capire la differenza tra il suonare come un hobby scolastico e iniziare a vederlo invece come un mestiere. E' una forma di confronto privilegiato, che ti dà la possibilità di migliorare tecnicamente, capire come va fatto magari un soundcheck, guardare e imparare come queste bands si approcciano al palco, il rapporto che hanno con il pubblico e con gli addetti ai lavori.

Da poco avete pubblicato il vostro primo Ep per la Black Candy Records. Partiamo dal titolo del lavoro: "Conversation less", che suona un po' come una dichiarazione d'intenti. Se riduciamo lo spazio delle parole, cosa mettiamo al loro posto?
Il punto a cui volevamo arrivare con il concetto di "Conversation Less" si basa sulla necessità di mettere la musica in primo piano rispetto alle parole, essendo la musica meno fraintendibile e più diretta delle conversazioni. La semplicità con cui si può essere capiti attraverso le melodie e le canzoni è di gran lunga maggiore rispetto alla non-linearità dal punto di vista comunicativo che spesso può avere un discorso.

Cosa conservano queste sei tracce degli ascolti della vostra formazione: il punk 70's e la new wave del decennio successivo?
Siamo sempre stati affascinati dalle live bands in generale ma ciò che più prediligiamo è la scena punk che si affacciava agli anni 80 tipo Jam, Buzzcocks e anche i Sex Pistols che davano letteralmente fuoco a tutto durante i loro live. Il lavoro dell'Ep è stato influenzato in realtà da tanti altri ascolti differenti, che magari non sono neanche direttamente in linea con l'impatto del disco o che non possano esser riconosciuti a "orecchio nudo" tipo la Motown, il funk anni 70 di Detroit, l'hip hop old school o magari cose più cantautoriali anche americane. Il nostro obiettivo tra virgolette è quello di legare quest'attitudine più punk dei primi nomi citati a cose più pop rendendo i pezzi di facile ascolto e dando sempre un valore molto importante alla melodia.

E come si coniugano invece a quel pop inglese fatto di arrangiamenti puliti, cantati limpidi, penso soprattutto a gruppi come i The Kooks a cui il vostro suono rimanda in diverse occasioni?
Per quanto vorremo essere nati negli anni 50 per poi aver fatto uscire questo Ep nel 68-69, questo non è stato possibile. Avendo 20 anni adesso, la scena di band nuove d'oltremanica ci ha influenzato non poco e di sicuro aiutato sia nella composizione che nella scelta dei suoni, soprattutto nell'importanza primaria come ti dicevo, che diamo alla melodia e alla ricerca del ritornello: questo credo ci porta ad avere un sound molto paragonabile ed accostabile a diverse band attuali, Kooks compresi.

Avete cambiato sito o venite ancora visitati da persone che si imbattono negli Hacienda, cercando però l'hotel di Palm Beach la cui clientela è esclusivamente gay?
Tra il 2004 e il 2005 il guestbook del nostro sito era un sogno, un sogno di quelli veri! Ci imbattevamo in decine di persone che chiedevano: "ma dove sono le palme? Dov è la piscina? Baci Frank". Adesso il nuovo sito che è in costruzione si chiama www.thehaciendaband.com e probabilmente non ci ripermetterà di vivere momenti del genere.

Contate di rimanere a Firenze nei prossimi anni? O avete intenzione di lasciare l'Italia?
Per il momento abbiamo in progetto di portare l'EP in giro, fare live fino all'anno prossimo. Poi prenderemo seriamente in considerazione l'idea di spostarci o a Manchester o negli Stati Uniti per registrare l'album e magari cercare un'immersione da sendentari nella scena UK.

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L'articolo The Hacienda - via Mail, 17-04-2009 di Ester Apa è apparso su Rockit.it il 2009-04-20 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • simoneclever 15 anni fa Rispondi

    Cari Alex,William & co. io spero con tutto il cuore che voi riusciate davvero a fare il botto,però se ve ne andate via poi noi fan non possiamo più venire a divertirci come dei pazzi ai vostri concerti:] Auguroni per il tour!