In vino veritas. A pranzo con Dario Brunori (pt. II)

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Voltiamo pagina, come dicono i giornalisti, ed arriviamo ad "Animal colletti": un titolo che oltre ai più celebri animali collettivi americani, fa il verso a un collettivo italiano formato da versi di animali e versi di cantanti, tra i quali spiccano i versi di un pollo, i tuoi, e quelli di DiMartino. Gente che non ha un soldo, non ha un lavoro, non ha una donna, non ha nemmeno un cane però almeno non si lamenta. Chiedono solo una corda per tirarsi il collo. Parlami, se vuoi, della tua infanzia tra i polli con Dimartino.
Sia io che Dimartino proveniamo da una stessa realtà contadina, in cui abbiamo condiviso l'esperienza di un grande pollaio, come ce ne sono tanti tra la Calabria e la Sicilia, e quindi ci sembrava giusto in qualche modo celebrare questa nostra infanzia bucolica nelle terre del sud. Lascia stare che altri hanno interpretato questa canzone come un inno contro il precariato o chissà cos'altro, la verità è che questo pezzo nasce dall'amore che abbiamo entrambi per la pollicoltura. Soprattutto quella intensiva. Noi siamo a favore dei polli stipati negli hangar come sardine. Quindi il mio messaggio è anche uno slogan: rivalutiamo l'idea del pollo ingrassato in orribili condizioni!

[Brunori ricomincia a ridere. Io invece mi chiedo come mai abbia scelto un pollo invece di una sardina: gli dico la mia, ovvero che secondo me la sardina non ha un verso tutto suo, così come il coccodrillo, mentre lui risponde che in realtà la sardina un verso ce l'ha, ed è anche disposto a farmelo sentire a patto che non lo scriva nell'intervista. Io gli dico figuriamoci se lo scrivo nell'intervista, e lui mi fa il verso della sardina: Ajò! Gli tolgo il bicchiere dalle mani, e proseguiamo l'intervista.]

Nessuno è riuscito a parlare di te senza fare dei paragoni con altri colleghi. In un solo disco ti hanno paragonato a Rino Gaetano, Piero Ciampi, Lucio Battisti, Ivan Graziani, Daniele Silvestri, Edoardo Bennato, o tra i più giovani, Dente, Babalot, Bugo. Praticamente se escludiamo Conte, Dalla, De Gregori, Guccini, De André e Capossela, tu sei il riassunto di cosa è stato, e cosa sarà, il cantautorato in Italia.
Prima di iniziare questa intervista, mi hai detto che l'unica domanda che non potevo farti era quanto pesassi. Lo capisco, però considerando certi paragoni, cerca di venirmi incontro: tu quanto pesi? Non ti pesa questo fardello?

Io peso tanto, diciamo che il mio riferimento è Tiziano Ferro, ai tempi dell'album "111". Questo mio peso però nasce come tu sottolineavi dal fatto che contengo in me tutto il cantautorato presente, passato, ma anche quello futuro. Come se dentro di me ci fosse un altro Dario, che sta in Dario come tanti Dari che però non sono il gruppo. Insomma mi considero come una botte, una sorta di Macallan del cantautorato italiano.

[Prima risata di Brunori, che però non contagia il sottoscritto, che vuole vedere dove vuole arrivare l'intervistato.]

Ti confesso che questo fardello non mi pesa per niente. Sono conscio del fatto che quando si scopre un talento come il mio, una cosa meravigliosa che non si è mai vista, è difficile descriverla. Capisco quindi come sia naturale collegarla a qualcosa che si è già visto, facendo i più svariati riferimenti, perché si vorrebbe cercare di contenere il tutto, quando contenere il tutto chiaramente non si può. E come quello che voleva mettere l'oceano in un cucchiaino: non puoi farlo, quindi ti accontenti di quello che riesci a raccogliere.

[Seconda risata dell'intervistato, che finalmente riesce a contagiare il sottoscritto, che ha capito dove vuole arrivare Brunori: in ospedale, verso il coma etilico.]

Torniamo a parlare di canzoni che è meglio: "Tre capelli sul comò" non facevano più l'amore con la figlia di nessuno perché la figlia non c'è più. Se n'è andata via di casa a metà della conta, lasciando appunto tre capelli sul comò, un po' di pioggia con le lacrime, e un paio di calze nere. Insomma, ancora un'altra storia d'amore, però finita male. Se non fosse un brano allegro, potremmo considerarci davanti all'ultimo povero Cristo dell'album, il quale si chiede, tra le altre cose, cosa sarà del suo primo bacio. Secondo te, quanti baci credi si debbano dare per mantenersi ai livelli di quel primo, insuperabile, impedito primo bacio?
Questa è solo apparentemente una domanda complessa, in realtà la risposta è semplice: secondo me bisognerebbe dare solo un primo bacio, e poi casomai cambiare labbra. Come una serie di primi baci. Solo che ad essere sinceri io sono l'ultima persona che può dirlo: sono dodici anni che bacio le stesse labbra. Tuttavia, e così mi conquisto la donna per sempre, è come se fosse sempre il primo.


Dato che stai usando questa intervista a scopi personali, vorrei passare a "Fra milioni di stelle", dove c'è il segreto che raccomanderei a tutti i poveri cristi che sono dentro il disco, ma anche a tutti quelli che sono fuori, e hanno il culo per terra: "per avere il morale alle stelle, tenetevi su la vita con un paio di bretelle". Ora, io è da un po' che ti osservo. Certo, hai una camicia a fiori venuta direttamente dagli anni settanta, e un paio di scarpe eleganti che però usava mio nonno nei cinquanta, comunque sia niente bretelle. Mi chiedo: tu non vuoi avere il morale alle stelle?
In realtà non trovo che sia importante la ricerca di una condizione, non mi piace la condizione di felicità ricercata a tutti i costi. Sono convinto che sia importante, ma non sono molto convinto che esista, quindi sono io che devo dare un senso alle cose che accadono: quel senso, secondo me, sta nel movimento.
Mi rende felice il "fare", piuttosto che l'immaginazione fine a se stessa. Quel tipo di immaginazione che in passato mi ha caratterizzato fin troppo. Se ho pubblicato il mio primo lavoro a 31 anni, significa che prima non avevo fatto un granché, oppure che ero stato eccessivamente autocritico, comunque sia mancavo proprio di questo slancio al fare, che invece ora capisco quanto sia fondamentale, perché dopo avere vissuto tutta una parte della mia vita ad immaginare come fossero le cose, ora che le faccio mi accorgo di essere contento nel farle. E il fare le cose, mi tiene su il morale come se avessi le bretelle.

In tema di "fare", ti faccio una domanda a bruciapelo ma tu non devi pensarci troppo. Anche se hai trentaquattro anni ma ne dimostri cinquanta, i tuoi testi rivelano una cura per la scrittura come se scrivessi da cento. Qual è per te il libro del secolo?
Senza dubbio "L'amore non si dice", di Massimo Vitali. Lo porto con me anche durante le interviste. È la mia bibbia. Non vedo l'ora di leggere il prossimo che uscirà ad ottobre.

Bravo Dario, risposta esatta. Concludiamo allora come promesso con "Il giovane Mario": un povero Cristo che cerca a tutti costi di fare qualcosa per vincere la fame. A proposito di fame, considerando il Premio Ciampi che ti hanno consegnato nel 2009 come migliore esordio, e la più recente Targa Tenco 2010 come miglior esordiente, tenendo presente che abbiamo finito di mangiare e non sono sicuro di riuscire a pagare il conto, volevo chiederti, secondo te, è ancora possibile mangiare con la musica?
Sì, secondo me sì. Naturalmente questo non significa che ci sia grande ricchezza, però ho sempre pensato che, in ambiti dove non girano grandi numeri, devi darti da fare. È vero che non ci sono grandi numeri, specialmente per progetti di musica veramente alternativa – io non faccio musica veramente alternativa, io faccio musica pop, anche se nasce in un ambito alternativo – però quando ho deciso di mangiare con la musica, sapevo benissimo che avrei dovuto darmi da fare, anche su più fronti.

[Ad esempio lo sai, mi domanda Brunori mentre finisce l'ultimo bicchiere prima di cascare dalla sedia, che ho composto le musiche del cartone animato "Gino il pollo"? Brunori casca dalla sedia, io minaccio di tirargli il collo, e lui si rialza da solo.]

Quindi in conclusione posso dirti che con la musica non si fanno tanti soldi, però nel mio caso, considerando sopratutto il progetto Brunori SAS, che per ora sta andando molto bene, non mi lamento per niente, anzi, sono proprio soddisfatto.

Quindi vai tu a pagare il conto?
Purtroppo come tu ben sai con la musica non si riesce a mangiare proprio per niente. Ah, che tragedia. C'è un clima terribile, anche a livello politico non esiste alcuna cultura della cultura, non ci sono soldi neanche a pagarli e quindi credimi, è una vitaccia. Chi lo fa, lo fa solo per grande passione, a costo di estremi sacrifici, tra i quali, il digiuno.

Nell'apprendere che sarò io a pagare il conto, apprendo anche che il treno che da lì a un quarto d'ora partirà dalla stazione in teoria insieme a Brunori, potrebbe partire senza di lui, dato che la stazione dista almeno mezzora da dove stiamo parlando. Ci salutiamo con una stretta di mano da veri uomini, quelli che subito dopo che ci si è stretti la mano iniziano a correre, uno da una parte perché in quindici minuti non si arriva neanche a metà del suo disco, e l'altro dall'altra perché ormai ha iniziato a piovere, è senza l'ombrello, ma almeno per tornare a casa non rischia di perdere il treno.

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L'articolo In vino veritas. A pranzo con Dario Brunori (pt. II) di Massimo Vitali è apparso su Rockit.it il 2011-06-18 00:00:00

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