Ho visto Vipera volare

"Tentativo di volo" è l'ep d'esordio e cortometraggio del progetto di Caterina Dufì, in cui convivono Carmelo Bene, Bergman, Cocteau, Flavio Giurato e altri mille mondi. Siamo andati a Padova a sentire il suo profetico rituale tra musica e teatro, per conoscere meglio il suo visionario universo

Caterina Dufì, in arte Vipera - foto di Martina De Giorgi
Caterina Dufì, in arte Vipera - foto di Martina De Giorgi

Lo scorso MI MANCHI, nel delirio generale di quei tre giorni, purtroppo non sono riuscito a godermi quasi niente di quello che succedeva sul palco. Mi ero però imposto un obiettivo: riuscire a vedere cosa combinava Caterina Dufì, aka Vipera, musicista e disegnatrice leccese trapiantata a Bologna da qualche anno. E questo non per togliere nulla al resto della line up, ma qua c’era proprio un mio punto interrogativo interno che andava avanti da mesi ormai, ossia da quando, per la prima volta, sono incappato nel preascolto di As with fire, il suo primo singolo. Mi aveva colpito l’anomalia nell’arrangiamento, questa struttura in cui gli strumenti sembrano convergere quasi per caso. Mi aveva colpito questo cantato a metà tra l’italiano e l’inglese alla Flavio Giurato, con una voce spigolosa, spezzata, che sembra quasi arrancare, come se si portasse dentro un dolore che fatica a nascondere. E mi aveva colpito l’immagine con cui veniva presentata: la foto di uno specchio posto disteso a terra, con Vipera in piedi che si riflette dentro.

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In quella circostanza ero riuscito a cogliere solo qualche stralcio dell’esibizione di Vipera ed ero già rimasto molto colpito dal suo mondo, art rock grezzo sporcato di post punk e momenti spoken word quasi recitati. Motivo per cui mi ero ripromesso che alla prima occasione utile avrei dovuto recuperare, per provare a capirci qualcosa di più. Questa occasione si è ripresentata lo scorso 2 luglio, quando sono andato a sentirla ad Arcella Bella, la rassegna gestita da Dischi Sotterranei all’interno del parco Milcovich di Padova. Lo stesso giorno in cui è uscito Tentativo di volo, il breve ep di esordio di Vipera, a cui è seguito un omonimo corto nei giorni scorsi. Un “manuale per un’interruzione di schema”, come me lo ha definito lei, ossia un modo per spezzare le paranoie del quotidiano e trovare una via di fuga.

Il live inizia tardi, verso le 23, dopo la partita dell’Italia contro il Belgio. Mentre i musicisti sono posizionati sul palco e iniziano a tessere uno sfilacciato sottofondo musicale, con poche note a creare una sorta di movimento sismico di assestamento, Caterina cammina in mezzo al pubblico. Alle spalle la tiene la ballerina sua omonima, vestita di nero, mentre tutta la band è in bianco. Vipera è vestita come il matto dei tarocchi. “È una figura con cui mi identifico molto”, mi spiega durante la chiacchierata che siamo riusciti a farci il giorno dopo il concerto.

 

Vipera - foto di Federica Rinaldis
Vipera - foto di Federica Rinaldis

Sul palco, assieme alla band che aveva accompagnato Vipera a Milano, c’è una batteria in più suonata da Cru – Niccolò Cruciani – dei C+C Maxigross. È stato lui, tra i primi, a cogliere il fascino della musica di Vipera ed è nello studio di casa sua che la band ha registrato Tentativo di volo. Vipera prende il suo posto sul palco: “Mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa”, dice con tono solenne. La ballerina rimane ai piedi del palco e inizia a legarsi addosso delle ali di tela, oggetto onnipresente e collegamento diretto con il titolo dell’ep.

Quello che segue è un flusso di musica ricco di stimoli e di elementi, al punto che diventa impossibile cogliere tutto quello che succede. I brani dell’ep si susseguono in forma fluida, intersecandosi tra loro, in un’esibizione intensa fatta di interferenze, scariche di follia, qualche esitazione, esplosioni noise, tremolanti cacofonie, dissonanze che cercano un ordine in mezzo al caos. È un live ancora grezzo, per certi aspetti, ma è già strabiliante la capacità di coinvolgimento in un mondo così delirante e, allo stesso tempo, reale. Le melodie incespicano sugli arrangiamenti sformati e liberi, mentre Vipera alterna il suo cantato ruvido con parti parlate ipnotiche. “Continuo a frequentare la paura come un luogo asciutto e malsicuro”, dice con voce rassegnata e occhi che si perdono in un vuoto imperscrutabile.

Il cast di 'Tentativo di volo' durante le riprese - foto di Martina De Giorgi
Il cast di 'Tentativo di volo' durante le riprese - foto di Martina De Giorgi

Vipera e i suoi sembrano la versione di un qualche assurdo culto religioso dei Roxy Music, spogliati di tutta l’estetica glam e dediti a una forma di incomprensibile rituale in cui Caterina ha il ruolo di profeta. Nelle pieghe dei brani si colgono il fascino per le strutture assurde di Captain Beefheart – come mi confessa la stessa Caterina –, ma anche dilatazioni post rock/shoegaze, incastri che sfiorano il free jazz, una serie di riferimenti frastagliati che finiscono col sopraffare. In questo il contributo della ballerina sotto il palco è fondamentale: durante i brani cammina e avanti e indietro sfoderando le sue ali, dipana un filo da un arcolaio – corrispettivo reale della statua che si vede all’inizio del corto –, senza riuscire a evitare che si annodi su sé stesso in certi punti. Alla fine si trova con una montagna di filo che cade a terra, come metafora di una vita passata in cerca di una rettitudine che si rivela inutile.

La mattina dopo il live recupero Caterina per farmi raccontare un po’ meglio chi è – o cosa è – Vipera. “Ci sono elementi separati che si avvicendano e che trovano una sintassi comune, confluiscono quasi da se stessi”, mi racconta lei quando le domando se il tentativo di volo c’entri col suo nome d’arte, che tra gli animali è quello che invece è più a contatto col terreno. “Non direi che ci sono rapporti di causa ed effetto, semplicemente il tentativo di volo simboleggia una cosa molto diretta, presente nella collettività come idea condivisa, a cui tutti aneliamo in maniera viscerale. Ed è anche una cosa molto bambina voler volare”.

La crew di 'Tentativo di volo' - foto di Martina De Giorgi
La crew di 'Tentativo di volo' - foto di Martina De Giorgi

“E allora, perché Vipera?”, chiedo io cascando nella più scontata delle domande. Caterina: “A livello simbolico il serpente ha tante sfumature di significato e a me piace questo. È un essere del sottobosco, cambia periodicamente pelle, ha un rimando biblico. Ci sono tanti aspetti anche di malignità e di perversione che poi sono solo una provocazione, sta a chi sceglie di accettare questa cosa la eventuale pena da pagare. Anche come suono mi soddisfa molto, tre sillabe molto stridenti che suonano bene insieme”. Per poi aggiungere: “Di recente ho scoperto che era anche un attrezzo bellico per crearsi dei passaggi nei campi minati”.

Mi faccio raccontare meglio del corto, scritto da Caterina assieme a Federico Rizzo – l’alfiere nel video – e che mi aveva affascinato sin dai primi fotogrammi. Nel video si vede Caterina come protagonista di una serie di quadri surreali e angoscianti, in cui la metafora del volo, impossibile, diventa l’unico modo per rompere quei meccanismi in cui ci si trova incastrati nel corso della propria esistenza e uscire dalla propria gabbia mentale. “Ci sono tantissime stratificazioni, anche io mi perdo nei riferimenti che ci sono. Nostra signora dei turchi di Carmelo Bene è molto presente, così come Il colore del melograno di Parajanov. Anche Il rito di Bergman è stato fondamentale come ispirazione: ha una fotografia strabiliante, basata su dei giochi di prospettiva che quasi la annullavano. Anche nel video di As with fire c’è molta bidimensionalità, ma lì c'è più l’idea del blob a legare le immagini”.

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Nei brani, Vipera trova una chiave che parte dal quotidiano per trovarne un significato simbolico, per oltrepassare le esperienze, senza però distanziarsene. Mi spiega come il metodo mitico di Eliot l’abbia ispirata nel dare una forma più profonda al reale e mi colpisce come a questo si aggiunga il bilinguismo dei suoi testi. “La mia voce funziona diversamente a seconda della lingua in cui canto. Non ho una dizione da madrelingua, ma più che altro lascio che la lingua si pieghi alla necessità del suono. All’interno della canzone il testo ha un significato, ma dovrebbe essere considerato come strumento”.

Quello che mi sorprende ancora di più è quanto sia spontaneo tutto ciò che ho potuto conoscere e apprezzare dell’arte di Vipera. Non c’è pretenziosità, ma una visione lucida e chiara di quello che vuole rappresentare, forse anche troppo frastagliata. “Per adesso è tutta un’esigenza, un movimento che non è mediato da finalità, sta andando in maniera naturale”, mi confessa lei. “Ci sono vari concetti che mi ispirano tanto, come il terzo suono, quest’intervallo che si crea casualmente e che è percepibile anche se nessuno lo suona. Proprio come teoria, metaforizzato diventa utile per la composizione. Anche il delirio organizzato, che è un concetto di cui parla Artaud ne Il teatro e il suo doppio: è la possibilità di creare qualcosa che si avvicini al disordine totale, che però portata in scena trova un suo ordine”.

Vipera - foto di Ilenia Tesoro
Vipera - foto di Ilenia Tesoro

Ed è di nuovo Artaud che torna fuori quando, poco prima di salutarci, le chiedo dei costumi di scena con cui la band si presenta, ossia delle tuniche bianche impossibili da collocare cronologicamente. “L’idea è di portare qualcosa sul palco che non sia umano, né tantomeno del 2021. Per Artaud i costumi non devono avere un rimando al moderno, ma non per un feticismo per l’antico, devono essere eterni. Lo svolgimento rituale del canto è anche questo: collocarsi al di là del genere, al di là del tempo, al di là dell’umano”.

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L'articolo Ho visto Vipera volare di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-07-08 17:00:00

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