Virginiana Miller - Gli Osservatori

I Virginiana Miller osservano la realtà, prendono nota e ogni tre anni circa prendono i loro appunti e li trasformano in canzoni che sono descrizioni precise di quello che abbiamo intorno. Il loro ultimo album “Venga il regno” non fa eccezione. L’intervista di Marco Villa

I Virginiana Miller osservano la realtà, prendono nota e più o meno ogni tre anni prendono i loro appunti e li trasformano in canzoni che sono descrizioni precise di quello che abbiamo intorno. Il loro ultimo album “Venga il regno” non fa eccezione.
I Virginiana Miller osservano la realtà, prendono nota e più o meno ogni tre anni prendono i loro appunti e li trasformano in canzoni che sono descrizioni precise di quello che abbiamo intorno. Il loro ultimo album “Venga il regno” non fa eccezione. - Foto di Franco Catalucci / Foto homepage di Marzia Bandoni

Fringe è una serie tv di fantascienza, in cui ci sono personaggi chiamati Osservatori. Sono tutti pelati e vestiti di nero: osservano quello che succede nel mondo e prendono nota per motivi misteriosi. I Virginiana Miller non sono pelati, né vestiti di nero, ma sono un po’ come gli Osservatori: osservano, prendono nota e poi - senza misteri - più o meno ogni tre anni prendono i loro appunti e li trasformano in canzoni che sono descrizioni precise di quello che abbiamo intorno. Il loro ultimo album “Venga il regno” non fa eccezione. L'intervista a Simone Lenzi.

“Venga il regno” arriva in un momento particolare, dopo il tuo esordio come romanziere, il film di Virzì, il David di Donatello: questi fatti hanno cambiato qualcosa nel vostro modo di scrivere e produrre?
Per quanto mi riguarda, no. Romanzi e canzoni sono due realizzazioni della stessa attitudine, la scrittura. Se qualcosa è cambiato è il fatto che ho avuto più da fare in giro per l’Italia, quindi sono intervenuto sulle canzoni in ritardo rispetto al resto dei Virginiana Miller, che sono andati avanti più del solito nella scrittura della musica senza di me. Ho scritto i testi basandomi su strutture di canzoni più definite. Non è stato più difficile, è stata una scrittura piuttosto immediata. Tutti i pezzi sono nati velocemente, con immediatezza.

Hai scritto su Facebook che “Anni di piombo” e “Lettera di San Paolo agli operai” sono il tuo testamento come autore di canzoni, le più belle che hai scritto. Prima di tutto: la parola “testamento” non vuol dire che questo è l’ultimo disco dei Virginiana Miller, giusto?
No, non credo, anche se nella vita non si sa mai. Ho usato la parola testamento perché credo che quei due pezzi siano la realizzazione compiuta di quelle che sono le mie capacità espressive.

Perché sono le più belle? Cosa hanno in più rispetto alle altre?
Più che avere qualcosa in più, forse mostrano meglio quella che è la mia attitudine alla scrittura dei testi. Mostrano chiaramente il mio immaginario, i miei riferimenti. A volte dipende semplicemente anche dal momento in cui le hai scritte. Ad ogni modo sono due canzoni nelle quali mi riconosco.

In “Anni di piombo” riporti un passaggio dell’ultima lettera di Aldo Moro (“Una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani”). Ci son altre citazioni di questo tipo?
Sicuramente di cose così ce ne sono tante, ma non è mai importante saperle. Ci si può divertire a fare delle piccole cacce al tesoro, ma le canzoni di “Venga il regno” sono state scritte in modo tale che non richiedessero delle note a pié di pagina. Come si suol dire, lasciamo alla carità interpretativa.

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Ti chiedo invece di raccontare “Lettera di San Paolo agli operai”, che è uno dei pezzi più belli e criptici del disco.
Io sono cresciuto in un’epoca in cui i due grandi contraltari erano la Chiesa e il PCI. Di quel mondo lì, di quella contrapposizione non è rimasto nulla. Tanti cercavano di metterli d’accordo, ma di quei cespiti, di quei due capi è rimasta solo la Chiesa. “Lettera di San Paolo agli operai” potresti immaginarla cantata da un prete operaio degli anni ‘70. Una figura che non c’è più e anche per questo la canzone si chiude con “tutto è ormai passato”. E’ anche una canzone sulla sinistra e fa pendant con “Anni di piombo”, perché se ci pensi con la vicenda del rapimento di Moro in Italia ci siamo giocati tantissimo. Eravamo in una fase in cui si potevano prendere tante strade, ma il rapimento di Moro le ha chiuse tutte. Tra le altre cose, senza l’uccisione di Moro la sinistra sarebbe arrivata al governo con decenni di anticipo rispetto a quanto è effettivamente successo e avrebbe fatto i conti molto prima rispetto a cosa vuol dire governare un paese occidentale. Le vicende che viviamo oggi sono frutto anche di quello.

E come vedi il futuro prossimo?
Credo che l’apocalisse del sistema c’è già stata. E’ ora di inventarsi delle cose nuove, la crisi è anche un momento di possibilità. Non ho una visione disperante della realtà e credo che neanche il disco ce l’abbia: si intravedono delle forme di possibilità.

Dici “Venga il regno e sia dei cani”: non sembra esattamente positiva questa forma di possibilità.
“Nel recinto dei cani” è una canzone che parla di un momento di esistenza. E’ un capitolo di “Lungomai di Livorno”, un libro che ho pubblicato per Laterza. Lì descrivevo quella parte di umanità che vive in funzione dei cani e staziona in questa piazza. Disoccupati, gente senza speranza, che ho frequentato essendo stato un po’ come loro per un paio d’anni. “Venga il regno e sia dei cani” è un ritratto di un’umanità dopo la speranza.

Ultima domanda su un argomento triste, poi la smetto: in “Due” dici che “la felicità è degli altri”, dieci anni fa in “Placenta” cantavi “felicità passa vicina”. C’è un legame?
Assolutatmente sì. E’ la manifestazione di un’attitudine personale, quella di non aderire mai del tutto alla realtà, preferendo mettersi dalla parte di chi la osserva.



Ne “Il primo lunedì del mondo” c’era “La risposta”, qui “Pupilla”, due canzoni d’amore vere e proprie, le prime dei Virginiana Miller. Come mai questo cambiamento rispetto ai primi dischi?
Probabilmente perché dopo una certa età si allentano anche i cordoni del pudore e puoi cantare più apertamente dell’amore. Hai meno paura.

Un’altra novità sono le canzoni pop e solari come “Una bella giornata”, che non avrebbero mai trovato spazio su un disco come “Gelaterie sconsacrate”.
Credo derivi dal fatto che - a 45 anni - se uno è ancora vivo vuol dire che ha fatto dei compromessi con la vita. Deve aver trovato motivi per cui valga la pena stare al mondo. Tanti colleghi mostrano una specie di pessimismo manierato e a me non piace il pessimismo di maniera. In quei casi l’unico buon consiglio che mi viene da dire è: allora ammazzati!

Chi scrive belle canzoni in Italia?
Baustelle, Perturbazione, Vasco Brondi.

Anche i Baustelle non scherzano come pessimismo...
No dai, non mi metto a dare giudizi.

A proposito di Baustelle: con l’ultimo disco hanno deciso di scrivere le canzoni partendo direttamente dall’orchestra. Cosa ne pensi come idea?
E’ molto bella, piacerebbe anche a noi, se solo avessimo i mezzi produttivi per farlo.

Cosa ha significato per voi la ristampa di “Gelaterie Sconsacrate”, il vostro primo album? Cosa è cambiato da allora nelle aspettative dei Virginiana Miller di fronte all’uscita di un nuovo disco?
Mi ha fatto piacere che venisse ripubblicato, perché non si trovava più ed è un disco a cui siamo molto legati. Non appena abbiamo avuto il master in mano l’abbiamo fatto ristampare. Sulle aspettative: alla nostra età uno non immagina più di diventare gli U2, però avendo acquisito più sicurezza si può sperare di allargare il bacino di pubblico.



Avete messo piede nella musica poco prima che tutta la discografia iniziasse a crollare. Come avete vissuto tutti i cambiamenti di questi anni?
La vera differenza l’ha fatta l’avvento del digitale. Quando i costi di produzione si sono abbassati c’è stato un aumento dell’offerta e si sono moltiplicate le proposte musicali. Però c’è stata anche una caduta del principio di autocritica, è mancato il Super-Io che ti fa chiedere se vale davvero la pena pubblicare quello che hai fatto. C’è tanta offerta, ci sono cose ottime, c’è una maggiore diffusione delle capacità del saper fare, ma c’è anche tanta gratuità.

Vi ho visto in concerto lo scorso anno, durante il tour celebrativo di “Gelaterie sconsacrate” e vi ho trovati molto più grintosi rispetto al passato.
Sì, siamo molto più energetici. Credo sia dovuto al parziale cambio di formazione di questi anni: il chitarrista Matteo Pastorelli e il bassista Daniele Catalucci sono molto efficaci nella dimensione live. Hanno portato un po’ questa attitudine, che ha provocato questo cambiamento.

Quale canzone di altri avresti voluto scrivere tu?
“E dimmi che non vuoi morire” di Patty Pravo (scritta da Vasco Rossi, NdR)

Qual è la cazzata più grande che abbiate commesso in tour?
Ora non mi viene in mente. Sono successe tante stupidaggini in questi anni. Se devo dire la prima che mi viene in mente è quando, in Puglia, mi sono addormentato abbracciato a un lampione e mi sono risvegliato solo dopo qualche ora.

Ultima domanda: l’esperienza con Virzì ha lasciato strascichi? Avete avuto altri contatti per colonne sonore?
Al momento non ce ne sono in vista, però siamo disponibili a lavorare su colonne sonore. Siamo pronti.
 

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L'articolo Virginiana Miller - Gli Osservatori di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2013-10-03 00:00:00

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