Video première: Liede - Corsica

Sarà uno degli ospiti del MI AMI Festival, e oggi vi mostriamo in anteprima il nuovo video di Liede: ce lo siamo fatti raccontare da lui

Liede Corsica
Liede Corsica

Liede è il nome d'arte di Francesco Roccati, cantautore torinese che a novembre scorso ha esordito con "Stare bravi", un disco ricchissimo di suggestioni pop che Liede presenterà dal vivo al MI AMI Festival venerdì 26 maggio (qui le prevendite). Oggi vi presentiamo in anteprima il nuovo video "Corsica", scritto e diretto da Silvia Clo di Gregorio e girato da Andrea Dutto per la strada che da Torino porta al limite estremo della riviera ligure di ponente, la stessa strada percorsa più volte da Liede nei mesi di scrittura dell’album. "Il videoclip di Corsica è un docu-videoclip di quattro amici che intraprendono un viaggio dal centro della provincia fino al mare" ci ha raccontato Liede "Un road movie che attraversa i posti dove apparentemente non accade nulla, dai quali la gente scappa ma alla fine, poi, ritorna. È la malinconia a farla da padrone, coi i ricordi dei viaggi d’infanzia in camper, adagiata sul sentimento della noia espresso dalla ripetitività della ricerca di souvenir fotografici. La Corsica, com’è giusto, non si vede. E anche il mare è relegato a semplice comparsa finale, una meta non importante in sé ma per il viaggio che necessariamente richiede per essere raggiunta."

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Nella tua biografia dici che Liede non significa niente ma che può ricordare la parola tedesca lied, “canzone, romanza”, ma tu l’hai scelto perché è una specie di misto tra il sostantivo leader e l'aggettivo lieve: pensavi a qualche esempio nel mondo musicale di “leader lieve”?
“Liede” nasce da degli scarabocchi, da probabili assonanze con la città di Leeds, poi storpiata in Liids / Liid / Lied, infine Liede. Che è vero, ricorda leader e ricorda anche lieve, ma non è l’idea che ha smosso il tutto, è stato un processo casuale e fanciullesco. Visualizzatelo così, nel più classico dei modi, foglio a quadretti e bic nera, scritte e incastri provati e cancellati più volte, tutti simili e tutti diversi. Come quando impari a fare la tua firma, o quella di tuo padre. Comunque, se penso oggi a un “leader lieve” in ambito musicale penso a Bianconi. Che arriva in punta di piedi e canta lamate col peso specifico del piombo.

Il tuo disco d’esordio si chiama “Stare bravi”: perché hai scelto questo titolo? Perché ti consideri un “cattivo ragazzo”, uno da non presentare alla proprie madri, oppure c’è un altro motivo?
“Stare Bravi” sottintende un “noi dobbiamo” e un “non riusciamo a”, che sono in definitiva la somma dei capricci di ragazzi che cedono troppo spesso al fascino irresistibile del fare la cosa sbagliata al momento giusto. Non è una cosa da bad boy, è che davvero ogni tanto basterebbe stare bravi e le cose, forse, si aggiusterebbero da sole. È uno dei buoni propositi che non riesco a mettere in pratica, l’ho coniugato al plurale perché non credo di essere l’unico. Un po’ di tempo fa, prima ancora che pensassi di fare questo disco, io e mio padre abbiamo fatto una lunga chiacchierata. È stato un giorno molto importante per me, mi ha aiutato a capire quanto e in cosa siamo simili, e quanto e in cosa diversi. Ho capito che si può essere diversi, e sullo stare bravi effettivamente lo siamo molto, mi ha detto che fin da bambino non mi sono mai, mediamente, fatto andar bene le cose, che avevo sempre un motivo per piantar la rugna, per criticare. Questo sentimento, questo stato d’animo, declinato nelle cose che canto nel disco probabilmente ha molto a che fare con l’impazienza, con l’ansia perenne che tutto circonda.



Nelle nove canzoni di “State bravi” ci sono tonnellate di tastieroni anni '80, synth a profusione e una dimensione dream-pop molto spinta: quali sono stati i tuoi ascolti che ti hanno portato a selezionare questa tipologia di suoni?
La scelta di quella tipologia di suoni, e dell’oceano di spazio che creano e che lasciano alla voce e alla ritmica è stata naturale, è venuta in seguito a un primo giro di provini registrato tra gennaio e marzo 2016 (l’unica canzone rimasta di quel periodo è "Sono Sommerso", e comunque non suonava ancora così). Io e il mio produttore abbiamo capito che era la dimensione giusta per i miei pezzi, e per la voce soprattutto. E l’abbiamo capito anche buttando via tutto un primo giro di canzoni che si collocavano da altre parti, molto meno efficaci o per tagliarla corta che ci piacevano meno. Parliamo sempre di canzoni che nascono chitarra e voce, il vestito che le si dà in fase di produzione è ovviamente fondamentale. Non scoprirai mai quanto è bella la più bella delle ragazze se è vestita male. Sicuramente c’è molto indie italiano degli ultimi anni, ma il processo è stato, appunto, naturale, non ispirato a gruppi in particolare.

A chi ti sei affidato per la registrazione del disco?
A Vladimiro Orengo, produttore del disco e tastierista nei live. Anche compagno di banco delle medie, se vogliamo. È da un decennio buono che scrive, registra e produce. Arriva da una lunga storia di band e musicismi vari con altri amici che adesso gravitano attorno a Liede, da quando avevano 14 anni si sono sempre autoprodotti tutto e ciò fa sì che ora Logic, Pro Tools, banchi e microfoni siano il suo ambiente naturale. Abbiamo registrato tutto tra Rueglio, nel Canavese, e Mortola, un paesino ligure al confine con la Francia, montando e smontando il nostro studio mobile. Rueglio, in particolare, è il primo posto dove ci rintaniamo per affrontare qualsiasi nuova idea musicale, casa della famiglia Dutto (non li ringrazierò mai abbastanza) immersa nel bosco senza la quale non sarebbe stato facile fare questo primo disco, né iniziare il secondo al quale sto già lavorando. Le tracce sono poi state mixate al Gulp Recording Studio di Torino, insieme a Cipo (Marco Calliari). Il master invece l’ha fatto Giovanni Versari. Nel disco, oltre a me e Vladi hanno suonato Giacomo Felicioli -batterista anche nei live- Mattia Martino e Eugenio Odasso. I grazie che devo a tutti loro sono parecchi.



Come viene riproposto dal vivo tutto ciò?
Dal vivo giriamo in 4, signore e signori al basso Marco Di Brino! –applause- alla batteria Giacomo Felicioli! –applause- alla tastiera cori e sgami vari Vladimiro Orengo! applause.

“Sono sommerso” è stato il tuo primo singolo, che ha un aspetto molto pop e radiofonico: era questa la tua volontà per questo pezzo?
Quella era la volontà per tutto il disco direi. Molto pop lo prendo come un complimento, anni fa cazzeggiando si parlava proprio di mettere su un progetto e chiamarlo “Molto Pop”, in risposta alla moda ahimè non troppo passeggera delle sperimentazioni più becere, che tralaltro al tempo mi facevano rabbrividire e ora, paradossalmente, mi affascinano. La vita è sorprendente.

In “Finte intellettuali” te la prendi, anche un po’ bonariamente, con un certo tipo di ragazze che se la tirano citando grandi autori, registi o artisti ma che poi in realtà non sanno neppure loro il senso di questi voli pindarici: quante ne conosci di ragazze così? E davvero sono così pessime come le dipingi nella canzone?
Massì, appunto, molto bonariamente. In realtà non voleva essere un j’accuse vero e proprio, l’idea è nata quando ho visto su Facebook la foto di una mia amica di infanzia, bellissima, molto lanciata in tutta una situazione di modelling, con testa rasata, tatuaggi etc. Da lì ho tirato fuori la figura della finta intellettuale, pensando a varie serate e happening che in effetti ne sono popolati. Ma non ne conosco per davvero molte. E sì, devono essere tremende.



Mi ha davvero impressionato la sesta traccia, “Maschi”, forse perché la sento come una sorta di confessione, molto a cuore aperto, della generazione dei ragazzi tra i venti e i trent’anni. Come è nata questa canzone oggettivamente così profonda?
L’hai proprio detto tu, è una confessione a cuore aperto. Non dice grandi cose, ma è onestissima nel raccontare quelle piccole. Nasce proprio così, guardando le scritte sui tabacchi e perdendo troppo tempo per scegliere che film guardare in streaming.

Quanto ti piace la malinconia, lo struggimento, inteso come sentimento universale e non soltanto appartenente alla nostra generazione. Te lo chiedo perché una traccia come “Corsica” ne è letteralmente intrisa.
Più che piacermi fa proprio parte di me. A volte effettivamente può sembrare che piaccia, forse è l’abitudine o la comodità del crogiolarcisi ogni tanto. La malinconia comunque è un bel sentimento, di sicuro aiuta la creatività ma non bisogna lasciarsi intrappolare troppo. "Corsica" è al limite, ce ne ho messa parecchia.

Ma davvero a Torino ad agosto è sempre tutto chiuso?
Ci son stati giorni meravigliosi nei quali la città era davvero deserta, non mi era mai capitato di godermela così. Lavoravo in un locale, e uscivo nel tardo pomeriggio passeggiando in mezzo alle strade, non una macchina, il silenzio. E al ritorno a casa di notte uguale. Il tutto ovattato dai 300 gradi dell’inferno che è stata quest’estate. A me è piaciuto.

Momento consigli domestici: ci dici il segreto per togliere il sale dalle magliette dopo un bagno al mare a mezzanotte?
Io le lascio salate, sai mai che ti venga nostalgia del mare.

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L'articolo Video première: Liede - Corsica di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2017-05-02 11:18:00

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