Zu
Carboniferous 2009 - Sperimentale, Noise, Metal

Carboniferous

Partiamo da "Carbon", sembra un pezzo dei Morphine. Il sax nitido come non lo si sentiva dai tempi di "Igneo" (2002) ma con una compattezza, una densità, che gli Zu non hanno mai avuto. "Beata Viscera", "Erinys" e "Mimosa Hostilis" sono vere bastonate, altro che stop & go. In "Chthonian" si fanno prendere un po' troppo dalla chitarra di King Buzzo, e ne esce un walzer alla candeggina che si trasforma in un frullatore per poi tornare ad essere un lento e oscuro brano melvinsiano, con tanto di giro di basso ansiogeno e colpi secchi di batteria lasciati nel vuoto in stile Dale Crover. Sebbene inizialmente sembri poco originale, il risultato complessivo è notevole. "Obsidian" è evocativa, ciclica, a tratti tribale, con gli arpeggi di Giulio Favero che fanno tanto Neurosis e un finale apocalittico che lascia interdetti: è sicuramente il punto più alto dell'intero disco. "Ostia" è quella che vogliono tutti ai concerti perché ha la cassa dritta, quella che stupisce perché è la cosa più lontana da quanto hanno sempre proposto: aggressiva e ignorante, all'inizio può sembrare una faciloneria inventata per scherzo ma poi si viene travolti da una scarica noise che è pura violenza e ad un minuto dalla fine cambia repentinamente con uno stacco di basso sulle note alte, così difficile da ripetere sempre allo stesso modo, e ci si ricorda che i tre vantano capacità tecniche invidiabili e che del punk – agli inizi si definivano un trio jazz-punk - hanno mantenuto solo l'approccio. "Soulympics", la prima con Mike Patton, delude leggermente: va bene, aggiungere il cantato ad un gruppo che è sempre stato strumentale non è una variazione da poco, ma assomiglia davvero ad una qualsiasi dei Fantomas. Invece "Orc" convince, la voce costruisce una litania a forma di nuvola sotto la quale si annidano le distrosioni del basso rielaborate elettronicamente ed i suoni ipnotici del mellotron. E' la perfetta chiusura di un album che ha sostanzialmente due anime: quella granitica, asciutta, e stramaledettamente potente e quella più vaporosa, liquida e impalpalpabile, ovvero tutto quello che sono stati gli Zu in questi 10 anni. Disco dopo disco hanno scritto le regole del loro suono a matita per poi cancellarle subito dopo, hanno preso e abbandonato l'improvvisazione tante di quelle volte che ormai ne hanno compreso prefettamente il funzionamento e quindi, adesso, possono anche farne a meno. Sono riusciti a dar vita alla loro prima opera rock, di quelle che rimangono nella storia. Ora tocca buttare via tutto e ripartire da capo.

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