Edda
Semper biot 2009 - Indie, Folk, Acustico

Semper biot

Edda, imprevedibile e rassicurante nell'interpretare canzoni stavolta più che mai cucite addosso a lui, ci sfida a entrare nel suo mondo. non sarà semplice, ma è d'obbligo un tentativo per scoprire nuove sfumature dell'anima

Una premessa é fondamentale: il rischio di cadere nella retorica parlando di questo disco é quanto di più facile. Scontato, ad esempio, per chi ha seguito l'avventura dei Ritmo Tribale, gioire del ritorno di Edda e lasciarsi convincere esclusivamente dalla nostalgia piuttosto che dalle canzoni di "Semper biot". Oltre ai soliti - quantomai veri - giri di parole sulle (troppe) aspettative e gli anni di assenza dalle scene, la speranza di avere a che fare con un disco importante é in cima alla lista.

E l'album non delude da questo punto di vista, anzi col passare degli ascolti ti risuona in testa sempre più pesantemente; perché é densissimo e sorprende non solo per le liriche (sulle quali si tornerà più avanti), ma anche per gli arrangiamenti e la produzione artistica. Edda mantiene infatti la sua cifra, ovvero quel suo essere imprevedibile e al contempo rassicurante nell'interpretare canzoni che stavolta sembrano più che mai cucite addosso a lui. Dietro stavolta non ci sono i Ritmo Tribale, in quanto cambia radicalmente la prospettiva: adesso c'é solo lui, c'é quella voce volutamente (e giustamente) protagonista principale di tutto il lavoro.

Già solo l'apertura di "Io e te" é un tuffo al cuore, con un testo clamoroso ("Lo sai che non potremo più volerci bene / Lo sai che questa volta sarà l'ultima storia / Ti prego quasi o ti pregassi portami da Dio / Ti prego di non muoverti") incastrato in un climax sonoro tanto semplice quanto irripetibile. Come se non bastasse, la successiva "Milano" é lucida follia creativa ("C'è anche San Vittore / Disintossicami dal panettone di Milano / Sono nata in un brefotrofio / Sono nata perché ero di troppo per Milano"), ovvero il tributo ad una città che, nel bene e nel male, condiziona fortemente l'esistenza di coloro che provano a (soprav)viverci.

Altri due episodi imprescindibili, che rappresentano le facce di una stessa medaglia, sono "Amare te", in cui Edda racconta del suo travagliato rapporto con Dio ("E tu dovresti stare qui / Colmarmi i vuoti i fondi i limiti / Giuan fa minga ingàn / Amare dio è una cosa inutile") ed "Hey suorina" ("Solo tu hai l'amore gaudente / Solo tu la mia regina del niente / Solo tu hai l'amore profondo / Solo tu sei la più bella du mundo"), cronaca di un rapporto complicato con la religione e che rimarrà probabilmente irrisolto.

Mancano all'appello altri tasselli di un puzzle complicatissimo ("Organza" e "Snigdelina" su tutte), zeppo di rimandi a storie e stati mentali immaginari che altro non sono che chiavi d'accesso di un pianeta a tratti alieno ma sempre e comunque affascinante nelle sue diverse sfumature. Il punto è riuscire a entrarci dentro, a farlo proprio completamente; non sarà semplice ma è d'obbligo un tentativo per scoprire nuove sfumature dell'anima.

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