Alessandro Grazian
L'abito 2009 - Cantautoriale

L'abito

Far uscire un Ep intitolato "L'abito" dopo un album chiamato "Indossai" è un'operazione precisa il cui significato non sfugge a nessuno, credo: una manciata di canzoni nate a ridosso del secondo, importante e prezioso lavoro di Grazian, confezionate con cura sartoriale. Il songwriter padovano continua sulla via che più gli è consona: in una mano un vinile di Sergio Endrigo, a simboleggiare la tradizione della chanson italiana e francese, nell'altra un cd di Jeff Buckley, mai così presente dai tempi di "Caduto" come in "Incensatevi", strano ma riuscito esempio di obliqua canzone politica, così come può farla uno che scrive testi che piacerebbero a Montale (al quale, peraltro, piaceva Bindi, altro mito di Grazian, tanto da ispirarvici: per cui tout se tient). A che punto del suo percorso è Grazian? Quanto nuovo è questo suo abito? Come i classici, non troppo: ma in questo sta la sua bellezza. Tra queste malinconiche canzoni di morte si mostra un autore che affonda le sue radici nel mondo cantautorale italiano dei primi anni 60 in modo ben più sincero e credibile di mister Morgan, che non ignora la contemporaneità e che al tempo stesso, tra fumoserie da cartolina dei primi del '900 parigino, arriva talvolta a toccare preziosità e strutture ora da ballata medievale ora da romanza dell'800. Un oggetto strano, Grazian, sospeso in un altrove che non è ora né qui, nietzscheanamente inattuale, iperuranicamente (neo)classico, tormentosamente apollineo. Rimarrà di nicchia? Forse. Certo che Grazian mostra sempre più una statura da musicista tout court che potrebbe assicurargli una felice carriera parallela come compositore di colonne sonore. Cinecittà, pensaci.

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