Nella canzone "Short of Money" Sara, Marco, Sandro, Michele e Lorenzo da Pisa, si chiedono perché mai degli italiani non possano suonare il rock'n'roll, come se questa fosse ancora una questione attuale. Ah già, questa È una questione ancora attuale! In ogni caso, loro lo fanno, il rock'n'roll, e per la precisione lo fanno uguale preciso a come lo facevano quei mattacchioni che, infarciti di acidi e Aldous Huxley, scappavano dalle nebbie britanniche per cercare la luce: quella della "conoscenza", che trovavano in India, o semplicemente la luce del sole californiano. Ed ecco perché, appena partono le prime note di "Yogy Dananta" (già il titolo è tutto un programma), si viene colti dall'harrisoniano raptus di mettersi un fiore tra i capelli e saltare su un pullmino wolkswagen. Al primo ascolto, travolti da un tripudio di Hammond e Mellotron, sembra che i Philomankind abbiano ingoiato le discografie di Beatles ("Nothing To You") e Jefferson Airplane ("Womanizer"), e che queste gli siano rimaste sullo stomaco causando una strana sindrome da viaggio nel tempo. Però, però. Non togliamolo subito dal lettore per riporlo sullo scaffale sotto la A di "Album carini ma passatisti, gli anni sessanta sono finiti", diamogli una seconda chance. Così scopriremo, dietro la patina di nostalgia canaglia, una certa graziosa ironia (ascoltate il testo della "Yogi Dananta" di cui sopra) che alleggerisce l'effetto Sognando Woodstock. L'omaggio al passato – storico ma anche privato: "Marta Little Arms" è un folle e jazzato raccontino di amori adolescenziali, "Build Up" un lentone da festa delle medie anni 80 - è talmente esagerato da essere divertente e non stucchevole, come un giro al mercatino del vintage, o una serata a cantare brilli a un karaoke-party a tema.
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La recensione All things philos di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-04-14 00:00:00
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