Canadians The fall of 1960 2010 - Rock, Pop, Indie

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Tre anni dopo, riecco i Canadians. Amati/odiati, osannati/disprezzati. Non c'è nulla da fare: quella veronese è la classica band da prendere o lasciare. Io, personalmente, prendo, come si sa. Tanto ho apprezzato il disco d'esordio, tanto apprezzo questo. E per gli stessi motivi di quelli che non riescono a farsi piacere gli autori di "Summer Teenage Girl": i Canadians sono una college band. Se non vi piace il genere, non c'è nulla da fare. A me piace, e trovo queste melodie di derivazione weezeriana eccetera, sostenute da robusti chitarroni, adorabili e irresistibili. Chi pretende sviluppi imprevedibili rimarrà deluso: il college rock è un genere ben preciso, che ammette poche deroghe e deviazioni. Sarebbe come pretendere che una pagnotta di pane sappia di mentuccia. O che un gruppo rockabilly mostri aperture prog o twee. Il college pop è bello o non è bello così com'è. Punto. A chi piace il genere "The Fall of 1960" piacerà molto, come è piaciuto "A Sky With No Stars"; a chi non piace il genere, non piacerà. È un punto su cui bisogna essere chiari e onesti, altrimenti si è faziosi e sterilmente polemici.

Detto questo, è evidente che "The Fall of 1960" non è la fotocopia esatta del primo disco. Se il tutto si apre con due grandi tracce che profumano irrimediabilmente di quegli American Graffiti che a noi saranno per sempre preclusi – e che ci proiettano in altrettanto ideali video di "Buddy Holly" - dal terzo pezzo le cose cominciano ad assumere sfumature diverse: intro pianistiche ("Carved in the Bark"), cambi di tempo, morbidezze di tipo differente dal solito, influenze brit che affiorano qua e là ("Yes Man", per dirne una; la successiva "Rain Turns Into Hail…", per dirne due; e mi fermo), accenni post rock ("Open Letter To An Alpine Marmot"). Checché se ne possa dire, i Canadians sono un grande gruppo pop: e "The Fall of 1960" ne è la conferma. Se non ci fosse l'ostacolo della lingua, potrebbero avere un buon mercato anche in Italia: in certi suoni di chitarra e in qualche assolo (come quello di "Carved in the Bark") si intravede il fantasma del miglior Ligabue. Ma ai Canadians probabilmente dell'Italia non frega più di tanto, e fanno bene. Hanno i numeri per farcela all'estero: la chiamata al South By SouthWest di Austin nel 2008 e il fatto che "A Sky With No Stars" sia stato tra gli album più trasmessi dalle college radio Usa nello stesso anno sono i migliori auspici per questo nuovo, e bello, "The Fall of 1960", che ha forse il suo miglior brano in "The Richest Dumbass in The World" (ah, i Teenage Fanclub…). Certo, per una band italiana è difficilissimo. Ma perché no?

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La recensione The fall of 1960 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-03-04 00:00:00

COMMENTI (3)

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  • peep75 14 anni fa Rispondi

    personalmente non prendo...il disco

  • ilbuffonedicorte 14 anni fa Rispondi

    Bellissimo!

  • marcos 14 anni fa Rispondi

    Un altro ottimo album