Vetrozero
Temo solo la malattia 2011 - Rock

Temo solo la malattia

Quando qualcuno dice di temere solo la malattia, probabilmente è perché, detto con nonchalance, l'ha già preso in quel posto. Mi spiego. Hai sputato sangue per la causa e sei pronto a dare anche il resto della tua la vita al Lui o alla Lei di turno, quando un giorno, probabilmente per un motivo che ancora non capisci, ti ritrovi improvvisamente con un pugno di mosche in mano. E in un momento, in un preciso maledetto momento, una tonnellata di merda fumante ti si rovescia addosso in tutta la sua gloria. Alé. Densa, corposa, calda. Sarà la tua compagna di viaggio per un periodo variabile secondo la portata della botta ricevuta: settimane, mesi, magari anni. Ecco, raggiunto infine il traguardo degli anni è normale poi ritrovarsi quantomeno a fare mente locale. Il risultato di questo momento catartico è solitamente un pensiero dal sapore vagamente vittorioso che suona più o meno così: "Se sono ancora vivo dopo tutta 'stammerda, probabilmente non mi ammazza più niente". Ergo, temi solo la malattia.

Glauco Gabrielli ha lavorato con i suoi Vetrozero (Alessio Zeni, Ivan Dallatorre e Daniele Bonvecchio) a "Temo solo la malattia" per circa sei anni prima di darlo alle stampe nel 2011. Un bel po' di tempo se si considera che la band trentina si è formata nel 1999 e che questo è il disco d'esordio. Eppure a volte serve più tempo (e lavoro) del previsto per dare la forma migliore a un'opera che ha nel suo essere estremamente intima un punto di forza. O di debolezza: c'è sempre in agguato il rischio di non essere capiti, di venire fraintesi o più semplicemente che a nessuno interessi sapere di quando "ti arrivava fino al collo". Scrivere un disco parlando di sofferenza per espiare un periodo storto, con un linguaggio così personale come quello di Gabrielli, dev'essere stata dunque una bella sfida, come girare un film completamente in soggettiva, con la speranza che tutti, bene o male, riescano a immedesimarsi nel protagonista.

"Temo solo la malattia" affronta la questione con un rock indipendente dal sapore vagamente alternativo, dodici pezzi prodotti e arrangiati con cura e intelligenza da Fabio de Petris, per un totale di poco più di tre quarti d'ora di musica. Un disco che tendenzialmente funziona, con una prima parte interessante, briosa e tagliente - in pratica tutto il "lato A", dall'ottima "Grisou" fino alla marlenekuntziana "Soffiando contro il vento" - e un lato B automaticamente più riflessivo, disteso nella forma – l'arpeggio placido di "Ultra intro", l'atmosfera rarefatta di "Emodinamica" e "Solubile" (feat. Emanuele Lapiana aka N.A.N.O.), quella sognante di "Ninna nanna" – ma costante nei contenuti. Un racconto esplicitamente autobiografico, che va preso come tale, un racconto che richiede un periodo di ambientamento per essere assimilato e condiviso negli intenti, e che regala diversi spunti inediti e interessanti su temi universali, ahimè, arcinoti. Una volta si diceva: "Ama e ridi se amor risponde / piangi forte se non ti sente / dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior". 1967 o 2011 che sia, conta ben poco. Il letame, alla fine della fiera, sempre merda è.

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