99 Posse
Cattivi guagliuni 2011 -

Cattivi guagliuni

A ragionare seriamente e con lucidità, se avessi ipotizzato qualche anno fa una reunion credibile di una delle band qualsiasi che animarono il movimento delle posse degli anni '90 in Italia, mai avrei scommesso sulla 99 Posse. Dopo l'implosione avvenuta all'indomani di "NA9910º", non a caso il best-of definitivo, e la fuoriuscita di Meg, l'esperienza di O' Zulù e compagni poteva considerarsi "storicamente" conclusa; il combo napoletano, infatti, dopo aver esaurito la carica tipica degli esordi ("Curre curre guagliò" é stata la classica scintilla irripetibile), aveva comunque trovato una rispettabile via di fuga nel segno dell'evoluzione. "Corto circuito" e "La vida que vendrá" mostravano infatti una formazione che, mantenendo quasi intatta la matrice politica di sempre, era quantomeno intenta a contaminarsi musicalmente, evitando di ripetere in maniera pedissequa la formula originale - che, per quanto bella, aveva appunto esaurito la sua forza nel giro di due album (contando anche l'opera intermedia di rivitalizzazione a cui contribuirono i Bisca nel live di "Incredibile opposizione tour 94").

"Cattivi guagliuni", a 10 anni di distanza, non riparte però da dove li avevamo lasciati, ed é probabilmente la conseguenza più logica, non essendoci in line-up Maria Di Donna, una figura che aveva contribuito in maniera determinante a favorire un percorso artistico che li allontanasse dai cliché del genere - non foss'altro che si trattava di mettere d'accordo due vocalist fra loro molti diversi.

In questa nuova raccolta la band napoletana prova a replicare quel mix almeno in parte, ospitando alcuni nomi che bazzicano nella stessa scena a cui i 99 Posse appartengono di diritto. Peccato, però, che non bastino i featuring (Daniele Sepe, Speaker Cenzu, Valerio Jovine, Clementino e Claudio Marino) a risollevare la media qualitativa di un album il cui ascolto sembra non finire mai. Sono infatti 15 tracce in tutto e molte di queste sembrano essere i soliti tributi dovuti in cui O' Zulu si fa ovviamente prendere la mano dalla retorica; per cui dopo Carlo Giuliani (comunque citato in "Mai più sarò saggio", assieme ai fatti di Bolzaneto e a tutto il relativo contorno che potete immaginare) adesso tocca a Vittorio Arrigoni ("Resto umano") essere celebrato. Il problema, però é che pur trattandosi di intenti nobilissimi, il risultato non sposta comunque di una virgola i cliché di cui sopra.

Diventa quindi paradossale che il momento in cui questo disco risulta piacevole sia rappresentato dai divertissement, come ad esempio "Yes weekend", in cui viene ridicolizzato il Partito Democratico e lo spirito inanimato di opposizione. Piace anche "Tarantelle pè campá", che sembra scritta in funzione del featuring di Caparezza, e "Canto pé dispietto", episodio in parte autobiografico (e inevitabilmente anche autoreferenziale, dal nostro punto di vista) in cui O' Zulu fornisce la sua versione su ciò che successe all'epoca della scissione. La title-track, invece, ribadisce i soliti concetti nel solito modo, ovvero di coloro che pagano le pene perché il destino ha decretato loro la sfortuna ("Nuje nun eremo manco nate e già c'avevano cundannate") di non potersi permettere un Ghedini qualsiasi. Stesso discorso per "Vilipendio", l'ennesima dichiarazione di disprezzo verso le istituzioni dove, ancora una volta, si ripescano i soliti cliché di cui il quartetto non riesce proprio a farne a meno.

Piuttosto é preferibile "Italia Spa", dove, pur cadendo spesso nella didascalia durante il racconto, si tenta una lettura anticonvenzionale degli ultimi 150 anni dello Stivale ("un patto scellerato tra Savoia e latifondisti / e ancora nun v'abbasta mò facite 'e leghisti"). Ancora meglio "Morire tutti i giorni", dove sembra di sentire echi di Assalti Frontali e la retorica per una volta finisce all'angolo e lascia spazio ad un pizzico di poesia.

In definitiva, "Cattivi guagliuni" ci riconsegna una band che alle nostre orecchie non suona più "scomoda" come all'inizio dei '90. Musicalmente (ed inevitabilmente) cresciuta, ma incapace di raccontare il disagio sociale di oggi evitando di rifarsi al modello stilistico che conosciamo. Sarebbe bastato un pizzico d'ironia in più?

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