Tra rock italiano anni ’90 e Arctic Monkeys, un esordio con potenziale ma anche alcuni difetti tipici delle opere prime
Uno dei tratti tipici delle opere prime è l’irruenza, quel desiderio sfrenato di farsi sentire, che in molti casi si traduce con l’alzare a palla il volume delle chitarre. Lo fanno da subito gli Huno in “Spessi muri di plastica” e “Giorno grigio”, due pezzi che attingono in ugual misura dagli Arctic Monkeys, dai Pearl Jam e dal rock italiano anni ’90. Fino a qui tutto bene: ritmiche non fini a se stesse e un cantato deciso, vitale. Meno coinvolgenti, invece, “Profonde tracce” e “Pioverà”. Sono più lente e cadenzate, puntano sul lirismo dei secondi Marlene Kuntz, ma con scarso esito. Si risale di tono con “In duello libero”, brano tirato che riprende e amplifica lo stile di inizio disco, culminando in un notevole calembour chitarristico.
In chiusura troviamo un altro difetto comune a molti esordi: a costo di dimostrare la propria bravura, volerci mettere dentro tutto, ma proprio tutto. É il caso di “Le mie mani”, pezzo bossa dall’andamento felpato. Per niente brutto, anzi, va tra le cose migliori del lotto: ma è completamente slegato dall’immaginario sonoro del resto del disco.
Superate queste incertezze, le classiche appunto degli esordi, l'impressione è più che buona. Il potenziale c’è.
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La recensione Spessi muri di plastica di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-04-27 00:00:00
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