A quasi due anni da “Everyday was summer”, il piemontese Thefinger torna a sorprenderci nuovamente con un lavoro che è degno successore del cd d’esordio: 10 tracce in tutto, divise ipoteticamente a metà sui due (altrettatnto ipotetici) lati del cd, in cui Franco Di Terlizi sintetizza la sua idea di rock moderno dopo aver mandato a memoria le lezioni della miriade di artisti d’oltreOceano che rappresentano, da sempre, la sua fonte d’ispirazione.
I pezzi qui contenuti, inoltre, denotano gli sforzi del Nostro di avviarsi a grandi passi verso una perfetta maturità compositiva ancora da conquistare, ma che già producono risultati esaltanti. Non ci sembra quindi casuale l’eterogeneità di suoni e ‘colori’ che rendono le canzoni più varie rispetto ai primordi, e quindi a tratti meno incisive. Anzi, diciamo meglio più vicine alla sperimentazione, sicché la spezia ‘pop’ rimane fuori più spesso a favore di ingredienti relativamente nuovi.
In effetti già l’incipit svogliato di “The alien and the sea” è fotografia fedele del percorso meno scontato, anche se già nella successiva “Song for P.” rifanno capolino (prepotentemente!) i Byrds, a ribadire che le tradizioni saranno sempre la migliore fonte presso la quale ildito attingerà negli anni. La successiva “Until the rain comes”, brevissima, è un affresco acustico di rara bellezza che anticipa la grandaddyana “You can sleep now”, traccia che si fa notare come uno degli episodi più riusciti. A seguire “Alone in a hole”, acido country-folk trafugato da qualche polverosa cittadina americana.
Il lato b si apre con “My doors”, malinconia elettronica che un Neil Young provvisto dei plug-in del caso (passatemi la metafora, siccome non vuol assolutamente suonare come una bestemmia) avrebbe potuto scrivere nel terzo millennio; altrettanto si dica di “Flying in back time”, abbozzo che avrebbe goduto di sorti migliori se Thefinger non fosse costretto dai mezzi a partorirla, come dire, sottoperso. Un po’ più accademica “Even in the shade”, ma con un suo perché, come anche “The needleman”, fatta di chitarra, voce e poco altro.
Chiude, anche se non è esattamente così, la title-track, che difetta comprensibilmente nel mixaggio, ma che non nasconde comunque una bellezza intrinseca per la ricchezza di richiami e rimandi che il ragazzo sa riassumere brillantemente secondo il talento che lo contraddistingue.
Infine, la chicca che in origine dovrebbe appartenere solo a questa release e che omaggia una delle formazioni più influenti nella storia del rock; mi riferisco ai Velvet Underground e alla rilettura di “Sunday morning”, versione tanto rispettosa dell’originale quanto azzeccata per i piccoli interventi effettuati in fase di riarrangiamento.
Non dubitate, quindi, e affrettatevi all’acquisto di questa seconda opera firmata dall’artista piemontese: qui niente si spreca e ogni nota rappresenta una diversa sfumatura di un lavoro da assorbire lentamente.
La top it è la classifica che mostra le band più seguite negli ultimi 30 giorni su Rockit.
Punk, Folk, Country (19784 click)
Cantautoriale, Alternativo (14397 click)
Cantautoriale (14176 click)
Cantautoriale, Pop, Elettronica, Alternativo (13809 click)
Cantautoriale, Pop, Acustico (13485 click)
Singoli e album degli utenti, in ordine di caricamento