Attivi dal 2008, i Les Touches Louches approdano a "Il grande incanto" nel 2011. E anche se in questi tre anni non ci è dato sapere cosa abbiano fatto di preciso, poco importa se il risultato è questo. La prima fatica discografica del quartetto bolognese è davvero ben confezionata: poco più di mezzora di swing, klezmer alla Oi Va Voi, di tango, di musica balcanica al sapore di Kusturica. Tutto in acustico, ovviamente, e tutto contraddistinto da una pasta sonora compatta e densa come un blocco di solido cemento.
Già dalla title track che apre il disco si evince facilmente la capacità della band di creare un suono complesso, composto da clarinetti e violini che si rincorrono, col passo cadenzato di chitarra acustica battente (ancor più evidente, alternandosi a complicati passaggi di pizzicato, nella strumentale "In terra manouche"). Bella voce, mai sforzata e testi ricchi di significato con tante storie le cui tematiche si alternano in maniera almeno apparentemente casuale.
Ho trovato una spanna sopra le altre, per composizione e per catchiness, "Le onde del Danubio". Gli interessanti e inaspettati cambi di tempo e le melodie intrecciate tra violino e clarinetto, la configurano probabilmente come la quintessenza dell'intero lavoro. Discorso più che valido anche per "Underground", ultima traccia dell'album: un perfetto arrivederci.
Resto davvero molto curioso riguardo gli ulteriori sviluppo dei Les Touches Louches che, a quanto pare, sono riusciti a fare centro al primo colpo.
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