Ogni artista che propone i suoi lavori al mondo oltre le mura della sua stanzetta vive col cuore in gola. Sta mostrando se stesso, o almeno il se stesso che crede di aver messo a fuoco. E il non piacere può ferire più che a una persona ‘normale’. Ma fa parte del gioco. Ci vuole coraggio. Un bel po’.
E di coraggio i ternani Dasa-Zert mostrano di averne parecchio, producendo un promo, bisogna dirlo, di rara bruttezza. In bilico tra i Litfiba più tamarri (quelli di “El Diablo”) e death metal old style con tanto di urloni gutturali. Che ricordano a tratti i caratteristici gorgoglii del rubinetto in disordine. Per non passare a paragoni disdicevoli. Premettono pure una traccia video ai pezzi veri e propri, i Dasa-Zert. Che hanno così l’occasione di mostrarsi in tutto il loro splendore: il bassista si agita in un abitino senza maniche pezzato vacca (la mucca pazza?); il cantante, in tenuta da Tarzan postatomico, si tocca come neanche Michael Jackson. Oibò! Viene da pensare che questi quattro etruschi siano una band demenziale e umoristica. Macchè! I testi sono seri, e si permettono una critica all’ipocrisia di Jovanotti da cui il cortonese acquista credibilità.
E sì che i nostri vantano supporti a Karma, Afterhours, 99 Posse, date in tutta Italia e contatti con varie etichette indipendenti. Mah! Magari i Dasa-Zert (ma perché il nome della società che certifica la sicurezza aeroportuale?) sono una band innovativa, davvero troppo avanti. In un altro sistema solare, però.
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