Phinx Hòltzar 2013 - Rock, Psichedelia, Elettronica

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Una volta spenta la luce, i Phinx hanno trovato la loro dimensione ideale impastando suoni al buio.

Partiamo dalla copertina. L'artwork è stato “…composto da Boitier, artista proveniente dalla street art, che utilizza esclusivamente tecniche analogiche ed agenti di provenienza naturale per lo sviluppo e fissaggio di pellicole e stampe”. Perché i Phinx hanno scelto Boitier per il loro nuovo disco? Facile: perché li rappresenta. In pieno. “Hòltzar” è un disco strano, un disco elettronico, ma dall’animo analogico. Un disco di base sintetico, quasi algido, eppure “…ideato in una baita in montagna per poi essere registrato e prodotto in casa, in garage, in giardino ed in altre improbabili location, utilizzando tutte le stanze e gli spazi disponibili per sfruttarne le differenti caratteristiche sonore. Molti suoni concreti registrati durante diversi viaggi sono diventati parte delle composizioni stesse: rami come rullanti, cicale come charleston, rocce come mallets, rumori come pad”. E non è mica finita qui. Il titolo e un paio di pezzi sono in cimbro, una lingua “…semi scomparsa anticamente parlata nelle zone dei sette comuni dell'altopiano di Asiago e che ha come caratterista il fatto di legare una sonorità tipica del nord Europa a una grammatica vicina a quella italiana e dialettale del Veneto e del Trentino Alto Adige”.

Ok, fin qui ho pescato a mani basse dalla presentazione che i Phinx stessi hanno fatto del loro lavoro. Non me ne vogliano: vi consiglio di fare un salto sulla loro pagina e leggervela tutta perché contiene tutto l’indispensabile per capire, o quantomeno entrare in contatto con un disco come “Holtzar”. Ho poi letto in rete, documentandomi un po’, che “Hòltzar” è traducibile come “sentire gli alberi”. Ecco, tanto vale mettersi all’ascolto perché “Hòltzar” è un disco che, più che parlare, sussurra. Sussurra atmosfere, direi. Suoni, texture, ambienti concreti che si propagano su strade digitali che attraversano un mondo scuro, stratificato, ricco di terreni fertili dove affondare le proprie radici per cibarsi di altri suoni (Radiohead, Depeche Mode, Knife/Fever Ray, Nine Inch Nails…) per poi di farli propri. Un disco di deflagrazioni, beat e scale di grigi; vedi le ottime “Deneb’s map”, “Troll”, “Ministry of fog” (il singolo), “Music for minerals” e la conclusiva “The architect of the shapes”.

Francesco Fabris (produzione, voce, sintetizzatori, chitarra, piano), Daniele Fabris (sintetizzatori, sequencer), Pietro Secco (basso, sintetizzatori) e Alberto Paolini (batteria, percussioni) hanno messo in piedi un lavoro di portata internazionale, sia dal punto di vista della forma che, soprattutto, del contenuto. Un notevole passo avanti, se si guarda al precedente “Login”: una volta spenta la luce, i Phinx hanno finalmente trovato la loro dimensione ideale impastando suoni al buio. Il risultato è, manco a dirlo, un disco cupo, sperimentale; particolare (la scelta del cimbro è più che vincente) e universale. Rock (soventemente declinato, ma sempre e comunque rock) ed elettronico, con in più un’affilatissima punta di rap (“Kubla Khan”). Meravigliosamente analogico e digitale. Bello. Davvero.

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La recensione Hòltzar di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-09-25 00:00:00

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