llargo llargo EP 2013 - Indie, Acustico, Post-Rock

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Come coccolarsi nel letto più lungo e più morbido del mondo

L'inverno per me è, tra le quattro, la stagione che meglio rispecchia il dualismo dell'“Odi et Amo”. “Odi” perché il freddo pungente ti colpisce le ossa immobilizzandoti all'istante, perché alle quattro e mezzo massimo cinque del pomeriggio è già buio e mi dà come la sensazione che la giornata sia finita. Perché quando comincia a piovere e si decide a non smettere più, oltre al traffico va in tilt anche il mio cervello. Vorrei poter andare in letargo e risvegliarmi in Primavera, quando tutto è più bello ed ha un sapore diverso.

“Amo” perché l'inverno è affettuoso, perché con un abbraccio che riscalda il corpo, l'anima e il cuore – soprattutto il cuore – la giornata, o serata, prende una piega diversa, migliore; perché la pioggia della domenica è un ottimo pretesto per rimanere al calduccio in casa sul divano a guardare un film gustando una tisana calda. E poi il letto. Quanto è caloroso il letto d'inverno? Perdersi tra tanti cuscini, coperte su coperte, piumoni su piumoni. Vorrei un letto infinito, con mille lenzuola dove potermi annullare, dormire e sognare e svegliarmi. Di nuovo dormire. Essere lontana dal mondo.

Il sottofondo di questo scenario sono senza dubbio i Llargo: un grande corpo composto da cinque anime distinte ma unite in questo loro ep d'esordio. Un solo letto immenso, cinque lenzuola – come il numero dei brani – di colori diversi che si alternano, prima marroni, poi verdi, poi bianche, blu, gialle. Un vortice di colori che mi circonda, mi abbraccia, mi estranea. Le melodie sono piacevoli, ben suonate e spontanee, gli strumenti – l'accoppiata chitarre/piano stravince – in armonia uno con l'altro, così tanto da esplodere in un crescendo fortissimo di emozioni (“So We Say”), o da entrarti nel cuore grazie alla delicatezza con cui sono suonati (“Surrender”). Non manca l'atmosfera più malinconica (“Things”), arrabbiata e dubbiosa al contempo, forse speranzosa (“Selfish Joy”), rassegnata e dispiaciuta (“Brother”).

Se la parte strumentale varia mantenendo comunque un filo conduttore stilistico più che buono, la voce femminile a momenti sembra quasi passare in secondo piano, ripetendosi con gli stessi toni che ostentano a volte una fragile drammaticità. Io, comunque, continuo a navigare tra le lenzuola e, davvero, non voglio uscirne. Un inizio per niente male: le premesse ci sono per sviluppare un qualcosa di ancora più maturo e affermato. C'mon.

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La recensione llargo EP di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-11-26 00:00:00

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