Virtuosismi e memoria storica a prezzi di saldo: otto brani ottimamente costruiti per omaggiare la tradizione progressive, internazionale e nostrana.
Che gli Psycho Praxis siano a tutti gli effetti una macchina da guerra di virtuosismi tecnici – peraltro sponsorizzata dalla lungimirante Black Widow Records – lo si può intuire fin dai primi scampoli di “Privileged station”, classica suite progressive spalmata su otto minuti di partiture cangianti impreziosite da inserti flautistici. Anche i brani restanti approntati dal quintetto bresciano per il proprio debutto non si discostano dalle consuete scenografie di genere attingendo – direi con molto candore e devozione – alle più influenti esperienze della tradizione progressive, internazionale e nostrana.
Per i cultori della materia sarà un piacere (ri)naufragare dolcemente dentro già digerite dissertazioni strumentali di flauto, hammond e piano o dentro inafferrabili, quanto familiari, cambi di registro della sezione ritmica. Alle chitarre infine – come da copione – l’onere d’intossicare l’impasto con oculate dosi di hard rock e visionaria psichedelia.
Alla fine il quadro è di una chiarezza disarmante: un suggestivo assemblaggio di lasciti orchestrali che affratellano nuovamente, a distanza di anni, mostri sacri come Jethro Tull, Van Der Graaf Generator e King Crimson con i nostri Nuova Idea, Banco, Deus Ex Machina o i Museo Rosenbach del monumentale periodo “Zarathustra”, senza disdegnare fluttuazioni oniriche di pinkfloydiana memoria (“Hoodlums” su tutte) e persino effettistiche folk-ambientali tanto care al buon Mike Oldfield.
A ricondurci su più terrene frequenze ci pensano le linee vocali di Andrea Calzoni, spesso non all’altezza del contraltare strumentale, e la palpabile nebulosità di alcuni passaggi.
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La recensione Echoes from the Deep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-01-21 00:00:00
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