Juliet Grove è il nome di una strada. Se immagino di camminarci, vedo casette di mattoni con la macchina sul vialetto d'ingresso e i panni stesi nel backyard, un parchetto, fabbriche dismesse in lontananza, ragazzi in divisa scolastica, il pub e il corner shop a gestione indiana.
Scusate i cliché, lo so ho visto troppo Mike Leigh, ma il succo resta quello: cieli grigi su, birra, tè e Fab Four giù, i Pipers non sognano la California ma l'Inghilterra, e ci sono andati già.
Ci sono andati per suonare e per registrare il disco (Juliet Grove è appunto la via di Wolverhampton in cui i quattro hanno soggiornato durante la produzione) ma la cittadinanza ideale se l'erano presa da tempo, forse l'hanno sempre avuta: il loro cuore batte decisamente a ritmo di britpop, e anche il nostro, ascoltando queste canzoni, si mette a pulsare a tempo con il battito leggero della pioggia del Merseyside e dintorni, il battito di (ovviamente) Beatles, e di Travis e Turin Brakes e I Am Kloot e Swell Season e Badly Drawn Boy e l'Alex Turner di "Submarine" e insomma sì, tutto quel pop a tinte folk morbido, zuccheroso, sorridente e sognante i Pipers ce lo porgono con la scioltezza di chi è cresciuto a pane e cioccolata Cadbury.
Va bene, qualcosa vi sembrerà di averlo già sentito, ma ve ne dimenticherete presto, e per una quarantina di minuti se chiuderete gli occhi ci sarete solo voi e le chitarre e un piano e un'armonica e le melodie che odorano di prato e pioggia e schiarite e una voce carezzevole e camminerete senza fretta per Juliet Grove e vi sentirete benissimo.
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