LENZ De Fault 2014 - Cantautoriale, Punk, Industrial

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Ripensate a quei momenti di vuoto, catatonici sul divano in pelle nera a fissare il televisore che prende male, il segnale va e non va a momenti -"le trasmissioni riprenderanno il prima possibile"-, anche se a voi non frega un cazzo. Tenete accesa anche la radio in contemporanea perchè quella funziona e riempie il vuoto quando il segnale tv sgancia. Sono fruscii e melodie alternate, alternanza di voci al megafono, parole indistinguibili poi le chitarre distorte, rullate e riverberi post punk, un frullato denso che per lo stato mentale in cui vi trovate appare distante ma lucidissimo.

"De Fault" dei Lenz è un disco preciso dal punto di vista stilistico, ma ricco di sporcature e deviazioni interessanti. Damiano Lanzi lancia il sua prima autoproduzione attraverso un lavoro da laboratorio chimico, le contaminazioni si sprecano, nella pentola i Bluvertigo di Metallo non metallo, i palleggi di chitarra degli Strokes ("De Fault"), l'inesorabilità dark degli Interpol, la malinconia dei Depeche Mode, una botta di fiamma viva e la pozione esala buona musica. C'è molta cura dei suoni in tutto il disco, forse anche troppa, a volte si sente il bisogno di qualcosa di sbagliato, una sporcatura che renda più umano il suono, pezzi come "EVP", dal bit digitale e il basso "vuoto" sanno di asettico e distante.

Nella prima canzone "Replays (from outer space)" si sentono in sottofondo intercettazioni di conversazioni via radio, sfuocate, le parole sono indistinguibili ma i toni sono agitati e i dialoghi serrati, è una porzione di mistero che incuriosisce per tutto il brano. Diverse le incursioni di voci e frammenti di conversazioni durante il disco: in "Murder in a small town" si riprendono intercettazioni e tagli di tg riguardanti il delitto dell'Olgiata del '91, in "High Tide" ritona il busio vocale indistinto di inizio disco, l'idioma è anglosassone ma non è chiaro il contesto, il tutto sempre incastrato in atmosfere anni 80 di new wave industrial ben congeniate.

I brani migliori "De Fault" e "Oily Cape", la prima, giro di tastiere orecchiabile e banding calante di chitarre, formula vincente, la seconda è un riuscito mix di regno unito anni 90 e moderno post-punk. L'unico appunto da fare è la pronuncia inglese nel cantato, da affinare, per il resto "De Fault" è un disco studiato e riuscito, arrangiato fin troppo in pulizia, questa può essere una medaglia sul petto ma anche un'arma a doppio taglio per una band rock.

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La recensione De Fault di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-06-26 00:00:00

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