Hiroshima Rocks Around Isolation Bus Blues 2003 - Punk, Noise, Jazz

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La prima domanda che sorge spontanea, di fronte al titolo, è: “ma questo è un disco di blues”? Sicuro, i 13 brani, della durata media 1 minuto e mezzo, sono tutti frattaglie di blues, spezzatino e budellini del Delta, interiora passate attraverso la bobina tritante delle chitarre abrasive e crude.

L'assenza del groove e del tiro del basso, strumento per scelta (estrema) non compreso nella line-up della band, permette di approssimare il drumming al bilico del collasso ritmico, deviando continuamente dai binari della canzone non solo nella struttura, ma proprio nella materia solida che la compone. Le costituenti organiche del rock si spappolano, si lacerano, sotto i pesanti colpi di Toni Cutrone, incalzando le nevrotizzanti chitarre di Vincent Filosa e Ndriù Marziano che stizziscono in costante dissonanza e abrasività timbrica. Gli Hiroshima fanno proprie le intuizioni di Pussy Galore, Old Time Relijun, gli stessi Trumans Water e Captain Beefheart, disegnando uno spettacolo di inaudita ferocia sonora iconoclasta, attraverso l'esasperazione della loro attitudine che potremmo definire "no-core blues & roll, con aperture free-jazz". La title track offre, emblematicamente, lo spettacolo di un blues mutato geneticamente e deformato, disperato, micidiale, cacofonico e decomposto, con tanto di delirante armonica a bocca, che è una dichiarazione d'intenti, un manifesto programmatico a tutti gli effetti; anche il titolo citazionista della prima traccia ("Walking like Us.Maple") fa intuire un'integrale adesione al filone della destrutturazione. Ci sono altre sostanze che si mescolano in questo lavoro di fine macelleria, principalmente del sozzo garage-punk ("La spider woman"), del noise ("Spysvacoution trip trap"), dello swing incancrenito ("Swingin'"), oppure il diabolico spettro del Tom Waits di "Bone Machine" che affiora quà e là ("In mud I should"), evocato dal rauco modo di cantare/parlare dei nostri.

L’ascolto è consigliato soprattutto ai bluesaioli più tradizionali: li shockerà trovarsi di fronte al cadavere putrefatto delle canoniche 12 battute, dalle cui interiora è stata eviscerata la parte più oscura, cruenta, tellurica ed isterica.

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La recensione Isolation Bus Blues di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-06-07 00:00:00

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