Akkura s/t 2003 - Folk

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“Pensieri a vapore” messi in musica e capitati nelle mani di una morbosa sfruttatrice di Vinicio Capossela…e cito il più evidente modello di questa band palermitana per chiarire immediatamente a quale corrente appartenga la musica sanguigna e senza tempo degli Akkura. E per provare la sottile soddisfazione di attribuire il termine “derivativo” come valore aggiunto. Perché la confortante impronta offerta dalla produzione più vivace, vigorosa e tarantolata di Capossela è il dolce frutto di un primo ascolto. Il nome stesso scelto dal gruppo(Akkura, la cui traduzione dal dialetto locale è: fai attenzione) mi sprona: scopro un rincorrersi di suggestioni e melodie, uno spiegamento di artifici sonori,arrangiamenti minuziosi e incanti che rovistano tra le tradizioni gitane di Goran Bregovic e i sapori di fiesta messicana alla Calexico. Scopro testi meditati ed evocativi, atmosfere intrise di romantico anacronismo, verbi al passato remoto, storie di padri vendicativi che puniscono figlie svergognate dall’amore, mercati, porti, paglia e mare blu cobalto. Un viaggio sonoro che parte colorandosi di luna piena, protagonisti l’amore irrequieto di una “Sirena” torrida e ammaliatrice e un sottofondo western,percussioni incalzanti,chitarre con ritmiche battenti che costringono il corpo a seguire il tempo per poi rallentare lievemente in “Uomo di sale”, ancora in riva al mare, testimoni di un matrimonio che tradisce il vero amore,circondati da violoncello, banjo e trombe mariachi; si arriva languidi alla struggente ballata “Schiusa e preziosa”, un gioiello cantato in tonalità bassa e suadente che si inasprisce per la passione frustrata che deve piegarsi ad antiche questioni d’onore. Ad un tratto, con “Boucherie”, ci si ritrova nel pieno di un animato mercato rionale accompagnati dalla banda che scoppia in allegria con ritmi mediterranei, tamburi tromboni e pentole e un fragoroso dialetto siciliano che trascina fino a “San Pietroburgo” dove i confini geografici sfumano su sonorità vagamente caraibiche,sui mandolini ,sulle girandole da circo alla Kocani Orkestar , sull’interpretazione vocale recitativa e spassosa che scherza con la cadenza romanesca… finché questo incantevole cammino notturno ritorna sulla strada di casa, avvolto da una sottile malinconia e dal vento autunnale che soffia ne “L’ultimo gentiluomo”, brano che si apre e chiude con un carillon e che lascia,tra lente passate di plettro su una chitarra stanca per l’impeccabile lavoro svolto,con l’urgenza di ripetere ancora questa vacanza. Un ottimo esempio di “agriturismo musicale”: profumi, colori abbaglianti, cibo sano, luoghi melodici defilati dal turismo di massa, ma sempre raggiungibili quando si vuole godere di un panorama emozionale davvero rigenerante.

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-06-26 00:00:00

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