Bartok
Few lazy words 2003 - Lo-Fi, Noise, Indie

Few lazy words

Inizia come se fosse un disco dei Dirty Three questa seconda opera dei varesini Bartòk, con "In cold blood", strumentale arricchito dal violoncello di Michele Guerriero che disegna trame sonore stranamente solari. Ma è in realtà solo un'illusione, perché bastano poi i primi secondi di "Devil's hands" (e, all'occorrenza, anche il titolo) per fugare ogni dubbio sulla strada che questa band ha deciso di (continuare a) percorrere. Da qui in avanti, infatti, si susseguiranno atmosfere a dir poco oscure, e ogni singola traccia provvederà a presentare sfumature diverse; il che potrebbe sembrare un paradosso quando si ha a che fare con l'assenza di colori, ma la tavolozza da cui attinge il quintetto ci sembra quantomai ricca. Non inganni quindi la scelta, consapevole o meno, di imbastire 10 brani basandosi solo sul nero, perché proprio questo 'colore' può ritenersi affascinante se usato con classe e maestria.

Due doti, queste, che i cinque avevano già evidenziato nell'esordio licenziato da GammaPop 2 anni orsono, anche se all'epoca non in maniera così evidente come succede invece adesso. Difatti gli arrangiamenti e il mixaggio stavolta funzionano a meraviglia, ma è soprattutto la scrittura ad aver guadagnato in maturità. I Nostri, infatti, realizzano brani di fattura assolutamente superiore, a dimostrare la capacità di sviluppare uno stile che, pur rifacendosi a modelli stranieri ampiamente riconosciuti, sa essere personale e distintivo.

Ne consegue che l'intero impianto sonoro ne trae giovamento, risultando alle orecchie dell'ascoltatore quantomai compatto e omogeneo, oltre che, va da sé, interessante. Non crediamo perciò ci sia molto da aggiungere, allineandoci così (in proporzione) al minutaggio dell'opera: poco più di mezz'ora in cui è perfettamente comprensibile quanto i Bartòk vogliano dirci. Non un secondo in più, non un secondo in meno.

Bello e bravi.

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