Seraphins Colorful 2014 - Rock, Pop, Pop rock

Colorful precedente precedente

Non ci sentiamo di buttare via il bambino e l’acqua sporca come è altrettanto ovvio che questo è un disco che va sezionato, ascoltato ed apprezzato per ciò che si riesce ad estrapolare e coniugare al proprio gusto personale.

Quando ti capitano per le mani prodotti come questo dei milanesi/bergamaschi Seraphins, fai due conti e ti chiedi:”Cui Prodest?”. A chi giova? Perchè per essere un buon disco lo è: ottimamente suonato, ben registrato e prodotto, ogni cosa al suo posto e tutto calibrato alla perfezione, però girandolo (idealmente) tra le mani uno sarebbe portato a chiedersi: ”A chi potrebbe piacere?”. Un tantinello patinato e concepito con l’orecchio troppo teso all’heavy rotation americano (Nickelback, Blink 182, Good Charlotte, per intenderci) per piacere ad un pubblico indie, troppo frastagliato e con soluzioni intelligentemente superiori alle muse ispiratici anzidette, per piacere agli amanti della cassa dritta e dei bicordi.

E quindi l’arcano rimane irrisolto, però indubbio è che questo disco sembra cucito appositamente sul mercato europeo (ma anche nord americano, e in quel caso sarebbe come andare a vendere ghiaccio agli eschimesi) e che quello potrebbe essere l’àlveo nel quale vederlo scorazzare con maggior fortuna.
Rimane che i tre Seraphins sono italiani a tutti gli effetti (Lorenzo Ferrari - batteria, Alessandro Ventura – Chitarra e voce, Marco Brignoli – basso) e seppur con un pedigree di tutto rispetto, devono fare i conti con un genere che nel nostro paese non ha mai riscontrato grandi favori, se non in una fase specifica dell’evoluzione (o involuzione) umana che dura quattro/cinque anni, si chiama adolescenza e dicono che prima o poi passa, state tranquilli. Gli undici brani che compongono "Colorful" scorrono via senza particolari sussulti e seguono mestamente i canoni imposti dalla confraternita del “pezzo ad effetto”: incipit di basso profilo, strofa interlocutoria, esplosione del ritornellone da stadio, fuochi d’artificio e pop corn.

Semplificando (ma si sa, la comunicazione avviene proprio per sottrazione), sembra essere questo l’architrave su cui poggia tutto il lavoro ed è in brani quali “Dreamless” o “Welcome Face” che ciò si manifesta in tutta la sua evidenza. Mentre dove il trio sembra sottrarsi per un attimo a questo giogo, "Mine" o "Time to think", l’epicità dell’incedere si fa meno opprimente, e vi è spazio per episodi di pregevole fattura. È ovvio che non ci sentiamo di buttare via il bambino e l’acqua sporca come è altrettanto ovvio che questo è un disco che va sezionato, ascoltato ed apprezzato per ciò che si riesce ad estrapolare e coniugare al proprio gusto personale.

---
La recensione Colorful di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-10-10 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia