Subsonica
Una nave in una foresta 2014 - Elettronica, Pop rock

Una nave in una foresta

Tornano dopo il passo falso di Eden, e si meritano un'altra possibilitĂ .

“Adesso entriamo nel terzo paradiso integrando pienamente la vita artificiale nella vita naturale”. “Con il Nuovo Segno d'Infinito si disegnano tre cerchi: i due cerchi opposti significano natura e artificio, quello centrale è la congiunzione dei due”.
A ben vedere, le parole di Michelangelo Pistoletto, ospite del settimo album dei Subsonica, si adattano anche a descrivere un'intenzione che è sempre stata fondante nella musica dei torinesi, quella di creare qualcosa di nuovo dall'integrazione di natura e artificio, in termini strettamente musicali identificati in rock ed elettronica (e tutto quello che sta in mezzo).

Sono passati quasi diciott'anni dalla prima incarnazione del loro personale paradiso fatto di melodia, pop, elettronica, reggae, dub, rock, e la maggiore età si presenta in forma di un disco che rincuorerà quanti non si aspettavano niente di buono dopo la défaillance di “Eden”. “Una nave in una foresta” (il titolo deriva da un detto popolare piemontese) è un bel disco, che sì, sicuramente non stupisce, anzi ripropone tutti gli stilemi del gruppo sfiorando spesso l'autoplagio, ma lo fa con molta più classe del suo predecessore e, pur contenendo episodi fra il trascurabile e l'incomprensibile – il tipico singolone “Lazzaro”, una “Specchio” che sembra un'“Aurora sogna” con (molta) meno personalità, una “Ritmo Abarth” incommentabile – vanta anche canzoni più che degne, che potrebbero addirittura ambire allo status di classici subsonici: la title-track, per esempio, è un'apertura col botto, cinque minuti e mezzo di “Nuvole rapide” meets “Strade”. “Tra le labbra” e “I cerchi degli alberi” sanno essere perfettamente pop e perfettamente sospese fra beatitudine e turbamento, mentre una nervosa poesia metropolitana scorre nelle pulsazioni nebbiose della desolata “Licantropia”.

“Il terzo paradiso” chiude intrecciando i cerchi e le parole dell'opera di Pistoletto a una base trip hop e alle parole di Samuel che ci lasciano con una serie di domande che nella loro ripetitività potrebbero ricordare quelle di “Istrice”, ma è un errore: queste sono più profonde e universali, aperte a un futuro che possiamo immaginare ancora possibile e perfino migliore. Per l'umanità, e anche per i Subsonica.

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