CUMBO CUMBO 2014 - Cantautoriale, Alternativo

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Cumbo firma il disco d’esordio. Che è anche un disco immenso.

La crisi è uno stimolo per ripartire. Praticamente una benedizione. Guai a contraddire le truppe di economisti prezzolati, politici succhiasangue e imprenditori intenti a coniugare il verbo “esternalizzare”. Loro sì che ne capiscono: cosa ne vuol sapere uno che perde il lavoro a cinquant’anni o riceve una cartolina di saluti da Equitalia? Niente, d’altra parte ci vuole poco a rimettere a posto le cose, basta fidarsi. Amen. Poi, chiaro, la decadenza che ci circonda una mano può darcela sul serio. Quantomeno serve a farci arrabbiare, a sviluppare senso critico, persino a far crescere quel che teniamo chiuso dentro a doppia mandata. Stefano Cumbo, per esempio. Ha iniziato a scrivere canzoni nel 2008, nel momento in cui l’economia occidentale stava cominciando a perdere i primi pezzi (e sua moglie perdeva il lavoro). Crisi come momento quasi catartico, insomma, o meglio come (ri)partenza, benedizione. Avranno mica ragione i cattivi?

Di certo, il cantautore umbro arriva al disco d’esordio con l’esperienza di un veterano. Oltre che con una band con le palle, brava a sfruttare arrangiamenti pressoché perfetti, spesso sorprendenti e mai scontati, e il tocco al mix di Matteo Carbone, già collaboratore di Paolo Benvegnù in “Earth hotel”. Ne esce fuori un disco raffinato, curato nei dettagli, diviso tra sonorità indie-rock, tocchi alla Morphine, suoni elettrici e archi per nulla stridenti. Un disco immenso, emozionante, cromatico. Che gira in mezzo a canzoni d’amore perfette (“Quello che so”), zollette di zucchero (“Una brezza di vento”), attacchi acidi al conformismo televisivo (“La ruota”), dediche sentite e partecipi (“Canzone per Angelo” è per Angelo Vassallo, sindaco ucciso dalla camorra, mentre “Emil” è un omaggio al filosofo rumeno Cioran).
Rabbia, sentimenti e senso civico per testi poetici e mai banali, spesso fuori dall’obbligo della rima baciata, interpretati da una voce forse non eccessivamente virtuosa ma senza dubbio intensa (attenzione però alla dizione a volte sin troppo casalinga) e ben attenta a veicolare i propri messaggi. Cumbo si muove senza soluzione di continuità tra innocenti evasioni (“Il sogno ha gli occhi intrisi di poesia”) e la sensazione di trovarsi in un mondo imperfetto, immerso in quegli “abissi di precarietà” dei quali tutti faremmo volentieri a meno. Incertezze, certo, mitigate dalla convinzione che il mettersi in gioco in prima persona potrebbe contribuire a cambiare la nostra visione delle cose. E intanto eccoci qui a benedire di nuovo la crisi, economica e non, che ci ha permesso di scoprire un artista destinato (è il nostro augurio) a rinverdire i fasti di quell’universo chiamato rock d’autore.  

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La recensione CUMBO di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-02-10 00:00:00

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