Flying Dogs Tribute to The Band 2003 - Cover

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Ci sono bands che sono state sepolte dal tempo ingiustamente, nonostante gli splendidi gioielli che hanno regalato alla musica, come gli psichedelici Pretty Things, autori di quel meraviglioso capolavoro che è “S.F.Sorrow”, per nulla inferiore al coevo (1967) “The piper at the gates of dawn” dei più celebrati (appena un attimino) colleghi Pink Floyd. Altre bands non hanno lasciato nulla di così memorabile tra le pieghe del tempo, ma hanno il pregio inestimabile di avere inventato un suono. E tra queste è di sicuro da annoverare la Band di Richard Manuel e Rick Danko, che diedero uno dei maggior contributi alla definizione di un nuovo suono country che andasse al di là della tradizione di Nashville da un lato e della piega psichedelica che CSNY avevano impresso al genere dall’altro. E in più i nostri hanno avuto il merito di salvare un certo signor Bob Dylan, schiacciato da fama e droghe in un plumbeo 1966 che lo costrinse ad inventarsi un provvidenziale incidente motociclistico. Furono loro a farlo riinnamorare della musica, registrandoci quei “The basement tapes” che sono una delle pietre miliari del rock. Il loro concerto d’addio ebbe quindi il logico onore di essere immortalato da mister Martin Scorsese (mica ceci!) in “The last waltz”. Logico che un gruppo del genere, pur dimenticato dai più, conservi ancora estimatori appassionati, magari in provincia, dove il ricordo delle buone vecchie care cose d’un tempo alligna più a lungo, originando talvolta nuove strade. I veneti Emanuele Marchiori e Andrea Garbo danno quindi vita a questo tributo, dall’elegante cover che richiama il “Rock’n’roll circus” degli Stones quand’erano immensi, che non è altro però che una testimonianza dell’affetto dei due. Costruito con una cura maniacale nel ritrovare il suono che fu della Band, tanto da esser suonato con strumenti d’epoca, il cd non dice nulla di nuovo. Le versioni dei pezzi della Band (più una “Tears of rage” di mastro Bob Dylan) sono a tal punto fedeli da poter essere definite calligrafiche. L’unico dettaglio in cui si discostano dall’originale sta nella voce di Marchiori, debole, tirata al limite, spesso sul confine della stecca. E per di più incline a un’enfasi che avvicina Marchiori a un Randy Newman senza voce. Dispiace per l’evidente affetto che i due hanno messo nel realizzare il disco, ma francamente non si capisce il motivo della sua esistenza. Il bello di un tributo è la reinterpretazione e perfino lo stravolgimento dei pezzi originali in una gara ideale con modello tanto amato. A che servono arrangiamenti u-gua-li? Meglio comprare i dischi della Band. E così finisce che di Marchiori emerge solo il lato negativo, che consiglia qualche sacrosanta lezione di canto. E invece interesserebbe conoscere proprio l’anima di Marchiori e Garbo. Quella di Danko e Manuel è già pervenuta. Oibò.

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La recensione Tribute to The Band di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-12-20 00:00:00

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