Mr.Henry Lazily go through… 2003 - Cantautoriale, Alternativo

Lazily go through… precedente precedente

Secondo il comunicato stampa propinatoci dalla Ghost records, Mr. Henry, per questo suo esordio, si sarebbe ispirato principalmente a due dischi: “The heart of Saturday night”, di Tom Waits, e “Grace”, del non mai abbastanza compianto Jeff Buckley. Impossibile non commentare con un…mah (!), sarà anche vero, eppure l’ascolto di “Lazily go through…” porta sorprendentemente lontano da entrambi i due capolavori citati, dei quali, nell’opera prima del cantautore varesino, c’è poco o nulla. Mancano le atmosfere jazz del primo, la freschezza e quell’energia latente del secondo; se proprio vogliamo farli entrare a forza, è il caso di tirare fuori la classica storia dell’attitudine. Bene, allora possiamo pure dire che Tom Waits potrebbe rappresentare il tramite di un certo spleen, ben impiantato nel suo secondo lavoro, nonché di certe parti acustiche disegnate su trame maledette se non caotiche (come nel caso proprio di “The heart of saturday night”); mentre si direbbe che Jeff Buckley sia richiamato per il suo innegabile romanticismo, per quella inscalfibile figura da beatiful loser. E fin qui ci siamo. Ma mettere in mezzo due dischi del genere per richiamare “Lazily go through…” ci sembra un tantinello esagerato. A meno che, attitudini prese per i capelli a parte, il discorso non si limiti ad un confine estetico. Sì, perché siamo alle prese con un disco bellissimo, proprio come i due di cui sopra. Profondamente diverso, certo ma, ripetiamo, bellissimo. Per le sue atmosfere tristi e decadenti, per quel meraviglioso cielo grigio che rischia di materializzarsi ogni volta che il cd si avvicina al lettore, per quelle atmosfere notturne ammantate di spirito distruttivo e (ci risiamo) attitudini punk.

Non è un disco per tutti “Lazily go through…”, perché volutamente sofferto e rabbioso. Prendete Nick Drake, scegliete, come turnisti, i Black Heart Procession e fate produrre il tutto da Syd Barrett: questa è l’anima di Mr. Henry, un’anima nera che ti prende e ti porta in mezzo alle fiamme dell’inferno. Dalle sue parti non ci sono proclami da sbraitare, messaggi consolatori o leggerezze da teen-ager. Lentezza tanta, dominata da una voce ferita (beh, ripensandoci, che ne dite di un Tom Waits a caso?) che si prende l’incarico di scarnificare la forma canzone e renderla essenziale, spesso limitandone i confini ad un piano ed una chitarra (a cura di Loris Antoniazzi>dei Bartόk), entrambi lancinanti, passionali, per niente rassicuranti. Uniche eccezioni, quando arrivano i rinforzi, ovvero i Midwest che fanno suonare “Youth song” alla Belle and Sebastian e i Cluster (“Claustrotwilight”) che ci mettono in mezzo un tocco di post-rock.

E Mr. Henry, da parte sua, decide anche di proporsi come elemento aggiunto dei Radiohead, quando, in “Never a slave”, sposta il suo raggio d’azione verso soluzioni maggiormente sofisticate, meno legate alle atmosfere nebbiose del suo stile. No, non ci si avvicina per caso ad un disco come questo. Ma è senz’altro una novità, almeno per il mercato discografico italiano. Una ventata paradossalmente fresca, una nuova mano di vernice in una città solitaria dominata da un cielo rosso borgogna. Come canta, più o meno, Tom Waits in “New coat of paint”, opener di, guarda caso, “The heart of saturday night”.

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La recensione Lazily go through… di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-12-27 00:00:00

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