WDD & Michela Grena Dub drops 2015 - Reggae

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Un'idea di dub piuttosto contaminata e cupa, con una suggestiva idea di suono che avrebbe potuto rendere di più con alcuni accorgimenti

Un'idea di dub piuttosto contaminata - con l'elettronica, con l'ambient, con la world intesa nel senso più esteso del termine, alla Peter Gabriel - ma anche piuttosto cupa, quella dei WDD, che raccolgono in questo disco d'esordio cinque brani originali, due cover e tre version. Dieci brani in totale, dominati - è il caso di dirlo - dalla voce di Michela Grena, ospite del progetto, che ha qui grande, grandissimo spazio in contrasto coi canoni di un genere dove (dub poetry a parte) la voce non è solitamente in primo piano.

La volontà di sperimentare è evidente lungo tutto l'arco del disco, così come quella di prendere di petto tematiche forti, come la condizione femminile nel mondo ("How many women") e il neocolonialismo dell'Occidente ("New slavery"). La distanza stilistica dai modelli è volutamente ampia, basti vedere come cambia un pezzo come "Give thanks dub" (di Lee Perry) in mano ai WDD, diventando quasi l'arrangiamento in levare di una colonna sonora tipo "Batman begins"; o "Rejoice Jah Jah children", originariamente piuttosto solare nella versione dei Silvertones, che rivela un lato oscuro, più malinconico, anche più profondo, nel trattamento della dub band friulana.

Sicuramente originale e anche interessante, con un ma. Anzi due: il primo è che l'album suona veramente molto, molto monolitico, finendo per mettere in difficoltà anche un orecchio avvezzo a sonorità "altre" rispetto al reggae e al dub, e il mood sostanzialmente identico dei dieci pezzi fa passare in secondo piano il buonissimo lavoro sui suoni degli strumenti.

Tanto più che - arrivo al secondo ma - la cantante Michela Grena, pur bravissima, è una presenza molto ingombrante sul resto della formazione, anche a livello di volume, e finisce volente o nolente per calamitare l'attenzione in ogni suo intervento, appiattendo ulteriormente la resa sonora, o meglio staccando notevolmente la voce dal resto. Vanificando così un'idea di suono che poteva essere più pervasiva, più suggestiva, dosando maggiormente gli interventi e diversificando un filo le linee melodiche.

Ad ogni buon conto, il lavoro svolto finora dai WDD non è assolutamente da buttare: ci sono diverse buone idee, coraggiose non di rado, e c'è il necessario carisma per gestirle al meglio. Una volta riorganizzate con criterio, daranno certamente buoni frutti.

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La recensione Dub drops di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-08-26 08:00:00

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