Mirsie El Santo 2004 - Rock'n'roll, Noise, Alternativo

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Sono trascorsi quasi quattro anni dal loro psichedelico esordio su Freak Show, "Aliens In A Bra", che fece spellare mani e profondere elucubrazioni entusiastiche a pletore di critichini assortiti gracidanti: "miracolo a Bra!", soprattutto perché nessuno di loro/noi aveva mai trovato una cittadina di nome Bra in nessuna location desertica del Nevada o nei garage del Cleveland, e le cartine geografiche degli States più ferraginosi e rumorosi non sapevano dirci nulla di più in merito. Allora i Mirsie esplosero suonando fottutamente psichedelici e desertici ante litteram per le nostre lande, inzozzati di un hard'n'blues rauco e di psyconoize visionario e ignorante. Le semplificazioni di comodo ad uso e consumo dei lettori chiamarono in causa i Kyuss di tale Josh Homme (chi si ricorda?) e John Garcia e le loro divagazioni desertiche di capolavori Stoner quali "Blues For The Red Sun" o addirittura il seminale "Wretch", che risultavano surreali ma al contempo tautologiche per chi conosce le atmosfere che la Granda incute ai suoi abitanti indigeni o ai casuali visitatori.

Esisteva sicuramente un parallelismo fra la sideralità del Nevada e l'angosciosa alienazione del cuneese. Altrimenti la Marlene ivi non sarebbe progredita. Ma poi scoprimmo anche squarci di Rolling Stones amici del diavolo e di Stooges search'n'destroy, e nessuno evitò di tirare in ballo "Sua Basetta" Spencer e le infinite affinità elettive con i contigui ODM. Tutto bello, verissimo e sottoscritto. Poi fu il silenzio, nel senso che la next big thing dei quattro braidesi veniva sempre rinviata dalle stampe, cambi di line up e ripensamenti sulla linea artistica intrapresa.

Qualcuno si era quasi dimenticato di loro. Non quelli dal palato fine naturalmente, come si presuppone per gli eroici fruitori di queste pagine. E infatti. All'alba del 2004, il nuovo "El Santo" deflagra come un diesel che carbura fino a partire per non fermarsi più. Meno diretti di prima guardano al roots rock sguaiato e polveroso degli epigoni di cui sopra, ma chiamano all'adunata colossi quali Hawkwind e Deep Purple (il riff di "Everyday" è Blackmoore puro!), suonando tremendamente Cleveland, con un retrogusto vintage e valvolare, intimamente veri e con grande personalità.

Raccolgono consensi postumi dal sottoscritto, nel senso che il primo ascolto – probabilmente inficiato da contingenze personali che a nessuno interessano - mi era apparso un poco ripetitivo, per quanto supportato da suoni e produzione straordinariamente sporca come si confà al genere. Invece la reiterazione dell'ascolto mi indusse a modificarne il pensiero e a devolvere elogi sperticati a questi quattro misantropi. In fila per due la storia del r'n'r : MC5, Electric Eels, Rocket From The Tombs, Pussy Galore, Cheetah Crome, Pere Ubu, Pixies e Fuzztones potrebbero dire tutto e nulla. Nessuna pausa e vuoti di memoria, tensione elevata e immarcescibile ironia nera, abrasioni sexy e sguaiatezze corali. Il rock'n'roll è reazionario per sua natura, per quanto sintomatico di antagonismo e ribellione, cerca sempre nuova linfa nel proprio passato per ricodificarsi in maniera credibile, e l'operazione di recupero effettuata dall'immaginario.

"El Santo" rimescola le carte del gioco, insinuando che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto necessariamente si trasforma. Luca si impone con credibilità inusuale per un italiano che si cimenta con l'anglofonia, mentre il testamento ritmico di Ciusky equivale ad un monito per le generazioni a venire di imberbi drummers. I Queens ci stanno tutti come paragone immediato, ma i Mirsie codificano, sporcandosi le mani nel Gange del roots, squarci di grandiosità al contempo citazionista e originale. "Poke", "Boots", "Everyday", "I Like Your Ass" e la finale "Oh…Well…Yeah" con annessa ghost orgiastica di gridolini, le pietre dello scandalo di un disco destinato a confermare più che riproporre.

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La recensione El Santo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-03-03 00:00:00

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