DiaframmaVolume 132004 - Rock, Punk, New-Wave

Volume 13precedenteprecedente

Ritengo che la carriera di Federico Fiumani, in arte Diaframma, sia un testamento spirituale all’orgoglio dell’autoproduzione e dell’autodeterminazione ideologica per quanto riguarda la storia della musica indipendente italiana. E su questo non ammetto deroghe o discussioni. Un romanzo, quello intitolato Diaframma, che ha il suo prologo più di vent’anni or sono in una Firenze fucina di talenti e antesignana di quella scena postpunk e indie rock nazionale che tanto ha devoluto, e poi ahimè anche sublimato, e che oggi è intersecata con gli ambienti più deprimenti del mainstream (ogni riferimento a Sua Icona Pelù è puramente casuale…) istituzionale.

L’esordio con il singolo “Pioggia” del 1982 (hannus horribilis per i fiorentini calciofili) e l’album per Contempo, “Altrove”, dell’anno successivo, li posero nell’occhio di bue dell’attenzione di addetti ai lavori e fans devoti, e sancirono la chiusura della collaborazione fra il boxeur chitarrista e il prode Vannini. L’ingresso di Miro Sassolini coincide con la scrittura nella scuderia della neonata IRA records per la quale pubblicano l’immortale capolavoro “Siberia”: seminale, essenziale nella ricerca melodica ma eloquente di spessore introspettivo e cupezze ideologiche assortite che lo catapultano di diritto nei Best of della dark/new wave europea. Gli split con la buonanima di quei Litfiba elettrokraut rock (“Abraxas” presente in “Amsterdam” del 1984) sono i prodromi degli album della svolta stilistica (“3 volte lacrime”, 1986-IRA e “Boxe”, 1988) che anticipano la rivoluzione copernicana di un Fede che decide di giocare centravanti e cantarsele e interpretarsele, sgraziato come un usignolo rauco, da sé (“12 EP.Gennaio”).

Sebbene aspro e scarno, il cantato di Fiumani sconvolge i tipi della Ricordi che convincono l’alma mater Vince Tempera a produrne due lp per major (“In Perfetta Solitudine”, 1990 e “Da Siberia al Prossimo Weekend” 1991) che però paiono troppo post tutto per un mercato italiano che è invece tristemente ancora molto pre molto… Il ritorno all’autoproduzione sfocia nel piccolo gioiello indipendente “Anni Luce” (Axabras,1992), sintesi di perfezione e circolarità poetica e malinconie protopunk. Ma nascere con la camicia non deve essere proprio stato segnalato fra le congiunzioni astrali del nostro, e quel capolavoro sepolto che fu “Il Ritorno dei Desideri” del 1994, rimase intrappolato nel crollo del palazzo nuovo della Contempo stessa, che in seguito a difficoltà finanziarie chiuse i battenti risucchiando nell’oblio l’opera che sarà ristampata dieci anni dopo per la cocciuta dabbenaggine e lungimiranza di Federico.

Un disco, questo, a più mani e cervelli, ma un unico cuore, quello di Federico, di Francesco Magnelli, di Gianni Ma roccolo e Mara Redighieri: da fare impallidire qualunque collaborazione contemporanea. Le vicissitudini della vita, una sorta di snobistico disinteresse di parte della critichina protointellettuale italiana spingono sempre di più l’eroe fiorentino all’autoesilio, che viene squarciato dagli sprazzi di luce che i live, la fedeltà in scalfibile dei fans e gli album che si autoproduce, irradiano sulla scena musicale italiana. Carsico come i fiumi friulani, sembra scomparire per poi riapparire gravido di rancore, odio, passione, sangue e infinita poesia: “Non è Tardi”, la riffeggiante e corrosiva “Sesso e Violenza” (1996, Flyng Records), l’antologica “Albori” (1997), la crepuscolare “Scenari Immaginari” (1998, Self), fino all’eiaculazione del 2000 con il trittico “Coraggio Da Vendere”, “Live Al Rototom” e “Le Canzoni Perdute”, documento di forza e passione, tutti per la Self.

Veniamo ai giorni nostri con “Il Futuro Sorride A Quelli Come Noi”, inesauribile per capacità creativa, l’interpretazione barocca e teatrale del redivivo Sassolini per il calembour linguistico “Sassolini Sul Fondo Del Fiume” e l’abbacinante affresco di “I Giorni Dell’Ira”: romanticismo esteso sopra le cose. Si, direte voi, ma del disco nuovo che cazzo ci dici? Vi dico che “Volume 13” è l’ennesimo grande, provocatorio, poetico, immenso disco di Fiumani Federico, in arte Diaframma, boxeur e amante della musica. Vi dico che non ha senso perdersi dietro la filologia di ciascuna canzone di questo disco per raccontarvelo. Dovete solo prendere i vostri soldini e comprarvelo, ascoltarlo, amarlo o odiarlo come tutte le cose vere dell’esistenza. Io, da ultras della Fiorentina e maniaco sessuale, amo una canzone in particolare: “Francesca”, un inno alla sodomizzazione dell’adolescente egocentrica e tifosa della Fiorentina (“C’è Fiorentina Juve e se ami la violenza/vedrai lì quanta ce n’è”…sublime!). Intensità interpretativa, la scelta di anteporre il racconto, la poetica in una dimensione a metà fra il cantastorie punk e il lirismo dell’epòs classico, con Firenze sempre li cornice dorata dei suoi trascorsi minimalisti, nichilisti, protopunk. Federico Fiumani è cattivo, ironico, odioso, cinico, rabbioso, passionale, poetico, stonato, intenso, volgare (“Luisa Dice”) e aulico al contempo: Federico Fiumani è un pezzo del Rock italiano indipendente. Da sempre e per sempre. E questo è semplicemente un bel disco rock. Rock d’autore, con la D maiuscola. Come Diaframma.

---
La recensione Volume 13 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-04-01 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commentoavvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussioneInvia