Provate a pensarvi lontani dal rumore delle auto, dal nero dell’asfalto e dal grigio del cemento. Spegnete la televisione e mandate al diavolo chi vi vorrebbe sempre di fretta. Fatto ciò siete pronti: mettetevi comodi che il viaggio comincia.
La pelle dei tamburi inizia a risuonare acuta, tesa dal sole, sembra di sentirne persino l’odore; nella mente prendono forma paesaggi, spazi ampi di immense distese di sabbia, poi oasi e case sulle quali il grande sole proietta i suoi caldi raggi. Viaggio ad Oriente tra luoghi e culture lontane, per molti versi sconosciute, attraverso la forza evocativa di melodie e ritmi che provengono da antiche tradizioni. Questo è lo spirito che muove il lavoro degli Alephra.
Lo strumento che in quest’opera si fa portavoce di un’intera cultura musicale è l’oud - detto anche liuto arabo - lo strumento più diffuso nell’arte musicale islamica, come lo è in occidente la chitarra o il pianoforte. Il caratteristico suono dell’oud, che dona quel sapore tipicamente arabeggiante alle melodie, è dovuto al suo particolare manico privo di tasti che permette l’esecuzione di variazioni microtonali - ovvero quei quarti di tono che all’orecchio meno ‘pratico’ suonano come delle stonature, ma che in realtà fanno parte di una struttura armonica molto complessa e articolata. Sono quindici brani strumentali ed ognuno costituisce una singola tappa del ‘volo’ (da “Damasco” fin nella “Mesopotamia”), per poi ammirare la meravigliosa antica “Babilonia”, passando attraverso deserti e sabbie, “minuscoli frammenti della fatica della natura” (per citare De André). Chiudono il disco due versioni remix di “Betuel” e “Damasco”, gli unici due brani arrangiati in chiave ‘occidentale’ (con synths d’archi e groove di batteria), mentre nel resto dell’opera le incursioni elettroniche sono rare e sempre in sottofondo, per lasciare in primo piano la potenza evocativa del caldo suono delle pelli, delle ance e delle corde dell’oud.
Per concludere, “Sands” è un opera di grande ricercatezza, capace di trasportare lontano, oltre i confini musicali dell’etnocentrismo tipicamente occidentale, suonato ed arrangiato con cura maestria; insomma, sarebbe un peccato non ascoltarlo.
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