Fujiko [Veneto] s/t 2004 - Rock, Pop, Elettronica

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Lo confesso: i Fujiko sono stati uno dei gruppi che mi ha colpito di più quest’anno, fino ad entusiasmarmi. I motivi? Un rock elettronico potente, epico e malinconico, capace di sfoderare dei potenziali singoloni, carichi allo stesso tempo di adrenalina e angoscia esistenzial-adolescenziale, affondando le radici negli ultimi 20 anni di musica fino a creare un suono personale. In grado di far ballare senza somigliare ai Subsonica (era ora: per quanto stimi enormemente la band di Torino, non posso dir lo stesso dei suoi cloni), visto che il punto di partenza è nettamente diverso.

Tre sono i riferimenti del passato che appaiono fondamentali per i Fujiko: Nine Inch Nails, Curve e Cure. Dei primi troverete la ricchezza elettronica “industriale” di “The downward spiral”, messa al servizio della cantabilità pop; dei secondi l’implacabile groove e la seduttività dance che fu dell’epocale “Faît accomplì”; dei terzi è evidente l’influsso del cantato di Robert Smith su quello del vocalist Paolo Larese. A questo impasto di base si aggiungono vari ingredienti nei cinque brani di questo demo. Colpiscono i riff di chitarra – contagiosi è dir poco – di “Nice day” e “Everyrthing”. E se il primo brano sviluppa un ritornello degno dei Depeche mode, arricchendosi nelle strofe successive di inquietanti trame di tastiere, il secondo evoca un ideale punto d’incontro tra Cure, Curve e gli U2 di “Even better the real thing” e “Pop” (per il sottoscritto, il più grande album degli irlandesi, alla facciaccia dei rockettari duri e puri).

“Trenta4” si apre grave, ed è il brano che più si accosta a certe cose dei Subsonica, e sembra poter smentire quanto scritto sopra: può venir in mente “Nuvole rapide”, per un certo uso della tastiera. Ma l’apparentamento è casuale, dovuto alla pesante influenza house e techno. E l’economia totale del brano alla fine ricorda molto più gli Ximox di “Reaching out” che la band del “Il cielo su Torino”. “Tutto ciò che dici” parte meditativa, con un assolo di tromba molto elegante, tra nu jazz e chill out, e diventa nettamente ballabile. Caratteristica comune a quasi tutti i brani dei Fujiko: e i loro concerti sono tra i pochissimi di band emergenti non ska dove ho visto abitualmente la gente ballare.

Conclude il demo “Ogniqualvolta”, tesa e cupa, che sguaina a metà dei chitarroni alla “Earthling” (ah, sempre lui, Bowie…) per arrivare nel finale a delle belle tastiere alla Gary Numan. In più, mette in mostra un bel testo.

Con tutte queste belle cose, perché non dare il primascelta ai Fujiko? Perché rispetto a quello che paiono saper e poter fare sembrano un po’ a metà del guado che parte dai modelli e conduce allo sviluppo di una personalità totalmente compiuta. Incompiutezza simboleggiata sia dall’indecisione tra italiano e inglese (proprio i brani più potenzialmente “scalaclassifiche” sono in inglese), sia dalla non perfetta resa metrica delle liriche italiane. Mi spiego: è tutto a tempo e non ci sono durezze. Ma i testi italiani vengono cantati esattamente come li canterebbe Robert Smith, il che costituisce un punto di partenza originale e interessantissimo, ma certo non può essere un punto di arrivo. Che dovrebbe essere trovare un amalgama originale. Ovvio che il discorso vale un po’ per tutto.

Insomma questo dei Fujiko è un esordio entusiasmante, che sfiora il primascelta, ma non lo ottiene perché in grado di rivolgersi agli appassionati del genere, e non ancora al vasto pubblico. Cosa che sta nelle possibilità della band.

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-10-01 00:00:00

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